New York, la città iconograficamente collegata ai taxi gialli, ha deciso di non chiudere la portiera in faccia alle nuove auto di Uber, cercando di capire se si tratti effettivamente di un nuovo servizio utile alla collettività o di un escamotage per entrare in concorrenza con i tassisti senza avere le necessarie licenze, aggravando i problemi di traffico.
Dunque, mentre in California le autorità competenti minacciano lo stop ed una multa salata per l’app del car sharing se non si adeguerà ad alcune richieste del regolatore rendendosi disponibile alla condivisione dei dati legati agli autisti ed alle corse offerte, New York ha scelto la strada della diplomazia per affrontare la sfida rappresentata dai servizi di Uber.
A decidere di ammorbidire la linea anti-Uber è stato il sindaco De Blasio, che ha fatto cadere il piano che prevedeva l’imposizione di una diminuzione del numero di veicoli Uber per le strade di New York e che rappresentava la conclusione di un duro scontro che proseguiva da diversi giorni e che aveva visto il sindaco strattonato fra le proteste dei tassisti e l’ aggressiva contropubblicità di Uber che lo aveva tirato direttamente in ballo, con anche diverse celebrità schierate con il servizio di car sharing.
Il tutto si risolve , per il momento, con un accordo con Uber per monitorare la situazione per quattro mesi e condurre uno studio sui suoi effetti sul traffico di New York ed in generale sull’offerta di trasporto della città.
In base all’accordo sottoscritto con il Sindaco, Uber dovrà fornire all’amministrazione comunale una serie di dati circa le sue attività, ma potrà continuare a circolare senza le minacciate restrizioni sul numero di vetture della sua flotta.
Almeno uno studio sugli effetti di Uber, peraltro, già c’è, finanziato proprio dalla compagnia di car sharing: secondo quanto vi si legge , portando a testimonianza gli orari di maggior utilizzo, sono i taxi ad offrire il 90 per cento delle loro corse a Manhattan (che rimane inesorabilmente imbottigliata) negli orari di punta, contro circa la metà degli autisti Uber che servono piuttosto le zone meno centrali.
Approfondendo un aspetto di tali numeri, peraltro gli osservatori notano che pur essendo una percentuale minore rispetto ai tassisti, Uber infila nel traffico esasperato di Manhattan nell’ora di punta poco più di 1900 autisti, che si sommano ad una situazione già critica.
La domanda, dunque, in realtà, resta: in mancanza di Uber i passeggeri di queste autovetture si muoverebbero con taxi, con le proprie auto o con i mezzi pubblici?
Nel frattempo, almeno una compagnia di taxi newyorkese è fallita, anche a causa della concorrenza diretta di Uber: nel presentare domanda per la procedura di fallimento Chapter 11, Evgeny Freidman – proprietario di una delle flotte più grandi di taxi di New York – nomina più volte Uber, riconoscendola come causa del suo fallimento.
Quella della California e lo studio newyorkese non rappresentano certo l’unica minaccia per Uber, ormai conscio di tutti i possibili ingorghi amministrativi e legali che incombono sul suo tragitto: in Europa, per esempio, oltre ai blocchi tedeschi , a quello italiano ed all’ interessamento da parte delle istituzioni di Bruxelles alla questione, per esempio, se la deve vedere con un processo spagnolo che ha richiesto l’intervento dei tribunali europei.
Il caso vede Uber chiamata in tribunale da un tassista di Barcellona e ora i giudici catalani si sono rivolti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiedere se Uber può essere equiparato ad un mero servizio di trasporto o rappresenta un servizio digitale, come vorrebbe la startup a stelle e strisce .
Claudio Tamburrino