La UE tira diritto sulla Web Tax, nonostante la contrarietà di alcuni Paesi membri (Irlanda, Lussemburgo e Malta), non a caso quelli il cui fisco riserva alle aziende aliquote paradisiache. Gli altri (Francia, Germania, Spagna e Italia in testa) puntano a un nuovo regime di tassazione degli utili (o del fatturato) che porti maggiori introiti nelle casse degli Stati europei dove le aziende hi-tech generano i propri volumi d’affari. È quanto è emerso dalla riunione dei 28 ministri finanziari tenutasi lo scorso 16 settembre a Tallinn, il cosiddetto Consiglio informale Ecofin.
Difficile trovare l’unanimità, quindi, ma pur auspicando di procedere tutti insieme, la presidenza estone di turno dell’Ecofin e la Commissione europea hanno confermato che in assenza del consenso unanime si potrà procedere anche singolarmente, sfruttando il meccanismo della cooperazione forzata .
Alla vigilia del vertice, Germania, Francia, Spagna e Italia avevano fatto pervenire alla Commissione Europea un documento nel quale chiedevano un deciso cambio di rotta nella politica fiscale attuata nei confronti dei colossi dell’economia digitale (in primis Google, Amazon, Facebook ed Apple), lettera che a Tallinn è stata condivisa anche da Austria, Grecia, Portogallo, Bulgaria, Romania e Slovenia.
Il commissario europeo responsabile degli affari fiscali, Pierre Moscovici, ha ricordato che una proposta in discussione al Consiglio esiste già, la CCTB , che prevede la creazione di una base imponibile comune per le imprese. Secondo il commissario, le imprese digitali “possono essere inserite nella CCTB. È un’opzione”.
Mentre l’Ecofin ha chiesto alla Commissione europea un primo documento tecnico sulla Web Tax per il summit dei capi di governo sull’economia digitale , in programma sempre a Tallinn il 29 settembre prossimo, Lussemburgo, Irlanda e Malta prendono tempo chiedendo un accordo a livello mondiale che potrebbe avere tempi molto lunghi.
Infine, c’è la proposta dell’Estonia di tassare le aziende digitali sulla base del numero di clienti nel singolo Paese , variando il concetto di stabile organizzazione che non sarebbe, dunque, più fisica ma virtuale. “Sulla base di questo approccio, le regole fiscali internazionali sarebbero rispettate”, spiegano.
Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, ha commentato: “Mi auguro che dall’Ecofin di Tallinn possa arrivare una decisione condivisa che non rinvii il problema come fatto sistematicamente fino ad ora. Le ipotesi in campo sono tante, da quella indiana che rischia di creare due mercati diversi, alla tassa sul fatturato che però rischia di essere un pericoloso precedente. A mio avviso la tassazione indiretta delle multinazionali del Web alla base del lavoro dell’Ocse rimane la strada maestra che è la stessa della cosiddetta Web Tax varata dal Parlamento italiano nel 2013 e poi bloccata”.
I numeri dell’elusione fiscale dei giganti del Web sono impressionanti . Stando ai dati forniti dall’europarlamentare socialista Paul Tang, la sola Google è riuscita a trasferire fuori dalla UE ricavi per oltre 50 miliardi di euro, che significa almeno 5 miliardi di imposta persi, versando tasse in Irlanda con una aliquota dello 0,82 per cento. Facebook paga, sempre in Irlanda, un’imposta tra lo 0,03 per cento e lo 0,10 per cento; secondo l’europarlamentare olandese, aggiungendo lo “sconto” praticato a Google la perdita di imposta versata per la UE sarebbe pari a 1,8 miliardi l’anno. In Italia, secondo i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Google dichiara lo 0,3 per cento dei ricavi complessivi e su questo viene tassata mentre le transazioni digitali in Italia rappresentano il 2,4 per cento del totale. Facebook dichiara lo 0,1 per cento mentre le transazioni sono il 2,8 per cento. C’è poi il capitolo della pubblicità online: nel 2016 Google ha fatturato 82 miliardi, Facebook 33 miliardi. Insomma, numeri che non possono passare inosservati.
Pierluigi Sandonnini