Google, Bing, Yahoo! hanno incontrato le autorità europee che si occupano di privacy, riunite nell’ Article 29 Working Party (A29WP), per parlare di diritto europeo online.
Al centro dell’incontro , in particolare, 26 domande che riguardano l’applicazione del concetto di “diritto all’oblio”: con questo termine si intende, in generale, quella delicata applicazione del diritto alla privacy che riconosce il diritto a veder “dimenticati” alcuni episodi che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato, in un pericoloso equilibrio tra diritto alla cronaca e quello alla privacy .
Google ha iniziato a giugno a rimuovere alcuni risultati da quelli offerti dal suo motore di ricerca, in seguito alla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha stabilito l’obbligo da parte degli operatori del search di raccogliere segnalazioni da parte dei cittadini e di provvedere alla rimozione di alcuni link che li riguardano; Bing ha invece fatto sapere a metà luglio di essersi preparata ad adempiere alle direttive UE.
Le autorità dell’A29WP vorrebbero dunque sapere ora come i motori di ricerca stanno operando, come avviene la rimozione di un determinato contenuto, quali sono i criteri di valutazione adottati caso per caso, se editori e giornali vengono avvisati (e come) dell’eventuale rimozione di un loro articolo ed in generale come si svolge il processo di de-indicizzazione dai risultati delle ricerche.
Sono d’altra parte diverse le questioni lasciate aperte dalla sentenza europea che ha di fatto riconosciuto il diritto all’oblio senza che sia stato previsto un regolamento ad hoc: la materia rimane in mano agli operatori privati, cui le autorità non hanno ancora deciso come far pressione e cosa chiedere di preciso.
Nell’incontro ora avvenuto, per esempio, è stata Google a fotografare il vaso di Pandora scoperchiato dalla decisione dei giudici europei: ha spiegato di aver ricevuto già circa 91mila richieste di rimozione di contenuti (cifra davanti alla quale i numeri di Bing e Yahoo appaiono insignificanti), relative ad oltre 328mila link, e di averne approvate circa la metà: sempre e solo relativamente alle versioni europee delle sue ricerche.
D’altra parte, gli stessi link restano ancora rintracciabili su Google.com : è questo uno dei fattori non preso in considerazione dalla sentenza europea, ma che non sembra affatto piacere alle autorità del Vecchio Continente, che dimostrano di voler imboccare la stessa direzione del Canada che ha ribadito di voler imporre al motore di ricerca la rimozione a livello globale dei link da dimenticare.
Claudio Tamburrino