La tassa italiana di concessione “per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione” contro cui si sono schierati Comuni, operatori del settore e contribuenti che ne chiedono il rimborso ha ricevuto il placet anche da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea .
Tale tributo, pari a 5,16 euro al mese sugli abbonamenti delle persone fisiche e 12,91 euro su quelli delle imprese, ogni anno genera per le casse dello Stato circa 800 milioni: costi che secondo gli oppositori finirebbero per gravare sul consumatore finale, compromettendo inevitabilmente la diffusione nel Paese delle tecnologie di comunicazione ed inasprendo le condizioni del digital divide.
Dopo un primo tentativo di aggiramento il cui fallimento è stato sancito dalla sentenza 8825 della Corte di Cassazione, che ha stabilito l’indissolubile legame tra la tassa ed il tipo di prestazione (indipendentemente dal contratto di licenza offerta), la questione era tornata alla Corte di Cassazione: in quella sede i giudici superiori lo scorso settembre avevano confermato la tassa al centro del ricorso presentato da alcuni Comuni del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia, tra cui Milano, che ne contestavano la legittimità, così come già avevano fatto diversi operatori del settore nonché varie associazioni a tutela dei consumatori che per primi avevano adito le vie legali per chiedere il rimborso dell’obolo sugli abbonamenti della telefonia.
A ricorrere alla giustizia europea, da ultimo, erano state due aziende, Fratelli De Pra SpA e SAIV SpA, che chiedevano all’Agenzia delle Entrate il rimborso di quanto pagato in forza della presunta discriminazione degli abbonati rispetto agli utilizzatori di carte prepagate.
Tuttavia con la sentenza della causa C-416 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la tassa è legittima : secondo i giudici “le legislazioni nazionali sono libere di equiparare gli apparati terminali delle comunicazioni alle stazioni radioelettriche, di prevedere un’autorizzazione generale o una licenza per l’utilizzo delle apparecchiature terminali di telefonia mobile terrestre, di equiparare l’autorizzazione o la licenza a un contratto di abbonamento e di prevedere il pagamento della correlativa tassa governativa in relazione a tutte queste ipotesi”.
Nelle motivazioni la Corte spiega inoltre che non è la forma che assume il rapporto tra fornitore di servizio e clienti a poter intralciare la libera circolazione delle apparecchiature terminali di telefonia mobile terrestre e che la Direttiva europea del 2002 non vieta l’applicazione di misure fiscali ad hoc.
Inoltre, per quanto riguarda la presunta discriminazione degli abbonati rispetto agli utenti di carte prepagate, nella sentenza si chiarisce che non vi è, nel diritto europeo, un principio di parità di trattamento tra utilizzatori di apparati terminali di radiocomunicazione mobile terrestre a seconda che gli stessi accedano alla rete mediante contratto di abbonamento o mediante carta prepagata.
Claudio Tamburrino