L’Europa vuole incorniciare ed esporre a livello mondiale il diritto all’oblio: questo significa da un lato delineare dettagliatamente le linee guida per la sua applicazione e dall’altro proporne l’esportazione al di fuori del confine del Vecchio Continente.
Per il momento la nuova interpretazione del diritto alla privacy da parte delle istituzioni europee ha già comportato migliaia richieste di rimozione di contenuti dai motori di ricerca : oltre a Google anche Bing di Microsoft e Yahoo hanno ufficialmente esordito con strumenti ad hoc per ricevere le segnalazioni in base alle quali provvedere alla rimozione dai propri risultati di ricerca dei link ai contenuti interessati dal diritto all’oblio.
Con tale definizione si intende, in generale, quella delicata applicazione del diritto alla privacy che riconosce il diritto a veder “dimenticati” alcuni episodi che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato, in un pericoloso equilibrio tra diritto alla cronaca e quello alla privacy .
La discriminante dovrebbe essere costituita dai concetti di non rilevanza e non attualità, concetti tuttavia generici: così , delle 699 richieste di rimozione già pervenute a Bing attraverso il suo Forget.me e relative a 2362 URL, solo 79 hanno portato a relative rimozioni, mentre Google ha già acconsentito ad oltre il 40 per cento di quelle ricevute.
Per questo le autorità europee che si occupano di tutela della privacy, radunate nel gruppo di lavoro Article 29, hanno cercato di specificare tali concetti attraverso alcune linee guida, annunciate nei giorni scorsi e ora rese disponibili.
Con il documento , rivolto non ai motori di ricerca ma alle autorità nazionali, che le dovranno adottare per risolvere le controversie come uno strumento flessibile da applicare caso per caso, si raccomanda che le informazioni non vengano rimosse dalla fonte originale (che non è necessario sia contattata e informata), ma solo dai risultati offerti dai motori di ricerca per parole chiave ce corrispondano al nome dell’interessato.
Inoltre, il documento conferma che se “un operatore attraverso le sue controllate offre servizi in più Paesi membri dell’Unione” deve agire in modo tale da rimuovere il contenuto “in modo che le leggi europee non vengano aggirate”: la deindicizzazione, si spiega, deve essere effettiva “su tutti i domini rilevanti, inclusi i .com “.
Al momento, invece, Google e gli altri motori di ricerca applicano la disciplina europea solo alle versioni nazionali europee dei propri siti, supponendo la propensione degli utenti ad utilizzare la versione del motore di ricerca collegata alla propria nazionalità.
Claudio Tamburrino