Se il fornitore di connettività offre ai cittadini della Rete gli strumenti per mettere in atto potenziali violazioni del diritto d’autore, è giusto dunque che all’ISP possa essere ordinato di intervenire per inibire l’accesso alle risorse illegali. Non si tratta però di legittimare i filtri indiscriminati: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ricordato che le misure di inibizione devono essere in grado di bilanciare i diversi diritti in gioco, da quelli dei netizen, che devono potersi esprimere e informare liberamente, a quelli dei provider, che nell’intervenire per contenere le violazioni non devono essere limitati nella loro libertà di impresa.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, giunta a pochi mesi di distanza dall’ opinione dell’avvocato generale Cruz Villalón, interviene per rimettere alla gistizia austriaca il compito di dirimere il caso che si è aggrovigliato intorno a Kino.to , raccogliore di link a contenuti video condivisi dagli utenti in spregio alle leggi sul diritto d’autore. Kino.to, prima della chiusura ad opera delle forze dell’ordine tedesche, era stato l’innesco della vicenda finita sotto la lente dell’Europa: poiché la piattaforma era gestita su server in Togo, le case di produzione Constantin Film e Wega, che detengono i diritti su film come “Vicky The Vicking” e “Il Nastro Bianco”, linkati da Kino.to, avevano chiesto ai provider per via stragiudiziale l’inibizione degli accessi al sito. L’ISP UPC Telekabel, però, si era opposto alla richiesta: la questione ara finita di fronte al tribunale di Vienna, che aveva emanato un’ordinanza che obbligava i provider a limitare l’accesso al sito, come ad esempio avviene ormai abitualmente in Italia con i provvedimenti di sequestro.
Il tribunale di Vienna, ricostruisce la Corte di Giustizia, nel 2011 “vietava all’UPC Telekabel di fornire ai suoi abbonati l’accesso al sito Internet contestato, indicando che tale divieto avrebbe dovuto essere attuato in particolare mediante il blocco del nome del dominio e dell’indirizzo IP ( Internet Protocol ) attuale nonché di ogni altro indirizzo futuro di cui tale società possa venire a conoscenza”. In appello, però, la disposizione veniva parzialmente modificata: l’ISP avrebbe dovuto semplicemente raggiungere il risultato di inibire l’accesso a Kino.to , la misure da adottare sarebbero rimaste a sua discrezione. UPC Telekabel si era di nuovo opposta, portando il caso di fronte all’ Oberster Gerichtshof , il massimo grado di giudizio.
La suprema corte austriaca aveva però sospeso il procedimento: si era rivolta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiedere lumi riguardo alla decisione da adottare. In primo luogo l’ Oberster Gerichtshof si interrogava sul ruolo del fornitore di accesso quale l’ISP UPC Telekabel: la direttiva 2001/29 sul diritto d’autore lo configura come un intermediario che possa essere costretto a contenere le potenziali violazioni del diritto d’autore mediate dai propri servizi?
La Corte di Giustizia dà risposta affermativa, analogamente a quanto suggerito dal’Avvocato Generale Cruz Villalón e dalle pratiche ormai affermate in contesto europeo: “dato che i servizi degli intermediari sono sempre più utilizzati per violare il diritto d’autore o i diritti connessi – si spiega nella sentenza – in molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a tali violazioni”. La connettività offerta dal provider, dunque, se è da un lato strumento di potenziali violazioni, rappresenta dall’altro il canale migliore su cui agire per arginarle. Poco importa, inoltre, se gli abbonati dell’ISP si intrattengono o meno nelle violazioni: non è necessario provare che gli abbonati attingano di fatto alle opere caricate illecitamente online, perché all’ISP può essere imposto di filtrare anche per scongiurare potenziali violazioni .
Le autorità austriache, inoltre, desideravano ottenere chiarimenti anche riguardo alle modalità delle ingiunzioni: le ordinanze emesse dai tribunali devono necessariamente chiarire le soluzioni tecniche con cui il provider deve procedere all’inibizione oppure all’ISP può essere lasciata carta bianca, salvo poi riuscire a dimostrare di aver adottato soluzioni adgeuate?
La Corte di Giustizia, dunque, al pari dell’analisi dell’Avvocato Generale, soppesa i diritti in gioco, giungendo però a una conclusione differente: se Cruz Villalón raccomandava che il bilanciamento dovesse essere effettuato dal sistema giudiziario dei singoli stati membri, al fine di dettagliare il più possibile gli ordini di inibizione per garantire il rispetto di tutte le istenze in gioco, la Corte di Giustizia sembra dare più fiducia ai fornitori di connettività, caricandoli dell’ onere di trovare il sistema migliore per filtrare qualora non sia un tribunale a stabilirlo.
La necessaria tutela della proprietà intellettuale, si spiega nella sentenza della Corte di Giustizia, si deve innanzitutto bilanciare con il diritto alla libertà di impresa del fornitore di connettività : una ingiunzione che non specifichi le misure tecniche da adottare è più che accettabile, in quanto concede al provider la libertà di agire conformemente alle proprie possibilità, senza misurarsi in “sacrifici insostenibili”. All’ISP è richiesto di raggiungere il risultato dell’inibizione dell’accesso a un determinato sito e sull’ISP ricade la scelta di “adottare misure che più si adattino alle risorse e alle capacità di cui dispone e che siano compatibili con gli altri obblighi e sfide cui deve far fronte nell’esercizio della propria attività”. Al fornitore di connettività basterà poter dimostrare di aver messo in atto quelle che vengono definte, non senza una certa ambiguità , “tutte le misure ragionevoli”. Vale a dire quelle che abbiano “l’effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili le consultazioni non autorizzate dei materiali protetti e di scoraggiare seriamente gli utenti di Internet che ricorrono ai servizi del destinatario di tale ingiunzione dal consultare tali materiali messi a loro disposizione in violazione del suddetto diritto fondamentale”. Abitudini dei netizen permettendo.
Il terzo polo dell’equilibrio da raggiungere, sottolinea la Corte di Giustizia, risiede nel diritto degli utenti alla libertà di esprimersi e di informarsi , che un ordine di inbizione potrebbe finire per comprimere , magari investando altri siti che condividono gli indirizzi IP con il sito da bloccare. “Le misure adottate dal fornitore di accesso ad Internet devono essere rigorosamente mirate”, si legge nella sentenza: i singoli stati membri dell’Unione Europea, per garantirlo, devono prevedere che i cittadini della Rete possano rivolgersi a un giudice per contestare eventuali violazioni delle loro libertà che emergano come effetti collaterali alle misure di esecuzione dell’inibizione dell’accesso.
La Corte di Giustizia mostra dunque di voler concedere libertà di azione e fiducia ai provider rispetto alle modalità delle inibizioni, ma sottolinea in ogni caso che l’intermediario deve mettere in atto tutte le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo di scongiurare le violazioni nel rispetto dei diritti dei cittadini della Rete. La sentenza avalla dunque le pratiche di enforcement già abituali nel panorama europeo della tutela del diritto d’autore: l’autorità giudiziaria può chiedere a un fornitore di connettività di inibire l’accesso a un sito, e il fornitore di connettività non potrà che adeguarsi . Plaudono i rappresentanti dell’industria dei contenuti, anche dalle schiere italiane: “La decisione è in linea con i casi più noti che hanno coinvolto siti bloccati dalla magistratura italiana, da Pirate Bay a Kat, e ai vari torrent, con cali negli accessi anche del 90 per cento – ha dichiarato Enzo Mazza (FIMI) a Punto Informatico – Certamente è fondamentale operare con estrema attenzione e con iniziative mirate che non colpiscano interessi legittimi. La decisione della Corte di Giustizia, insieme alla decisione della Cassazione italiana nel caso di Pirate Bay a questo punto costituiscono delle vere e proprie linee guida alle quali attenersi nel contrasto alla pirateria digitale”.
Gaia Bottà