Mentre la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto nuovamente i ricorsi presentati dalla Spagna contro il pacchetto normativo per il Brevetto unito, l’Italia – che inizialmente si era schierata con il paese iberico contro la riforma europea – si è ora seduta dalla parte dei suoi sostenitori.
Tale sistema unificato dei brevetti europeo è stato approvato nel 2012 dal Parlamento europeo. Ma prima e dopo quella data è stato accompagnato da critiche e polemiche sollevate da alcuni stati membri contrari ad un’armonizzazione forzata; il timore è che possa danneggiare i propri inventori ed i propri esperti in materia.
Il cosiddetto “pacchetto del brevetto europeo” è costituito da due regolamenti e una convenzione internazionale votati con tre separate sessioni: i primi due elementi istituiscono rispettivamente lo strumento del brevetto europeo e il regime linguistico da adottare, il terzo stabilisce un sistema giuridico unico, la Corte brevettuale unica ( Unified Patent Court , UPC), che avrà competenza esclusiva sulla validità e la violazione del brevetto unitario europeo.
A creare maggiori problemi è stato fin dall’inizio il regime linguistico adottato: il sistema prevede che i brevetti siano disponibili e validi in inglese, tedesco e francese, le lingue ufficiali dell’EPO ( European Patent Office ) e che siano rilasciati solo in una di queste tre lingue.
Nonostante alcune salvaguardie previste (periodo transitorio, rimborsi dei costi di traduzione per le aziende ecc.) proprio questo sistema ha spinto Spagna e Italia a cercare di fermare le varie proposte di brevetto unitario, tanto da costringere il Consiglio europeo ad autorizzare la “cooperazione rafforzata”, procedura decisionale prevista dai Trattati europei (articoli 20 del TUE e 329 del TFUE) per portare avanti i processo di integrazione, perseguendo gli obiettivi dell’UE senza coinvolgere la totalità degli Stati membri e, in mancanza di altre strade percorribili, per raggiungere lo stesso obiettivo “in tempi ragionevoli”.
Alla fine la Spagna ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sostenendo che la nuova iniziativa di cooperazione rafforzata andasse oltre le competenze del Consiglio, che vi fossero vie d’azione alternative e che la proprietà intellettuale rientrasse nel tema della politica commerciale comune, una delle quattro aree che costituiscono competenza esclusiva dell’Unione Europea e per cui questa procedura decisionale alternativa è esclusa.
Nel duro dibattito sul brevetto unico europeo si era da ultimo unito il Belgio, la cui Corte Costituzionale è stata chiamata a decidere se la riforma sappia garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base alla lingua.
I ricorsi della Spagna davanti ai giudici europei si appellavano proprio al principio di non discriminazione in base alla lingua, ma a questa accusa aggiungevano il mancato controllo giudiziario sull’operato dell’EPO, l’abuso dello strumento della collaborazione forzata, non utilizzato come nelle intenzioni per cui era stato previsto ma per forzare la mano dei paesi in disaccordo con la proposta in oggetto, la violazione degli articoli dell’atto di costituzione dell’EPO che lasciano determinati compiti amministrativi ai singoli Stati membri e la violazione dei principi di autonomia ed uniformità nell’applicazione del diritto europeo.
I giudici europei, tuttavia, pur riconoscendo la distinzione effettuata dal brevetto unico in base alle lingue ufficiali dell’EPO, hanno ritenuto che tale distorsione sia giustificata dall’obiettivo legittimo costituito dalla necessità di creare un sistema uniforme e semplice di traduzione ed un rafforzameno della protezione (e del valore) dei brevetti europei) soprattutto per le piccole e medie imprese, permettendo al contempo di abbattere i costi e le difficoltà in cui gli inventori si ritrovano ad incappare.
D’altra parte la Spagna sembra rimanere isolata nella sua battaglia contro il brevetto unitario: da ultimo è stato il Ministero dello Sviluppo Economico italiano a dichiarare che l’adesione al nuovo sistema sia una priorità del Paese.
Nel dettaglio il Sottosegretario allo Sviluppo Economico Simona Vicari ha sottolineato come “avere una sede in Italia del tribunale unificato dei brevetti (TUB), consentirà alle nostre imprese di avere una sede in territorio nazionale per la tutela dei propri interessi anche in lingua italiana, senza dimenticare che se aderiamo ora al pacchetto possiamo ancora sperare di avere una voce in capitolo sui sistemi relativi alle tasse di rinnovo del brevetto unitario e alla loro distribuzione e chiedere maggiore sostegno per le nostre PMI”.
Claudio Tamburrino