Il consumo di musica digitale tra piattaforme di streaming e reti di file sharing, oggetto di uno studio condotto all’ Institute for Prospective Technological Studies (IPTS) per conto del Joint Research Centre (JRC) interno alla Commissione Europea. Ancora una volta, una delle tesi più care all’industria dell’intrattenimento è stata smentita: la fruizione di contenuti pirata non provocherebbe alcun danno alle vendite legali di musica e film .
Basata su un campione di circa 16mila netizen del Vecchio Continente, la ricerca di IPTS ha ipotizzato uno scenario digitale in cui risultino scomparse tutte le piattaforme per la distribuzione non autorizzata dei contenuti audiovisivi. Risultato: il flusso dei click verso i siti del mercato legale soffrirebbe un decremento del 2 per cento . Come a dire, meno visite ai pirati, meno traffico verso siti come Amazon, iTunes, Spotify.
In sostanza, le osservazioni pubblicate dai ricercatori di IPTS sono partite da un semplice assunto: l’utente medio che scarica o guarda in streaming non acquisterebbe comunque materiale lecito . Dunque non sarebbe possibile stabilire un collegamento diretto tra le attività della pirateria e la crisi sbandierata nelle vendite dei discografici o nelle grandi case di produzione hollywoodiane.
Al contrario, la ricerca di IPTS ha trovato un effetto di stimolazione tra il consumo di contenuti digitali non autorizzati e l’acquisto di musica, film e videogiochi dalle piattaforme legali. Una tesi condivisa da altri studi sulle abitudini scaricone, come quello rilasciato dalla Columbia University, secondo cui i downloader acquisterebbero il 37 per cento in più rispetto agli utenti non legati alle reti della condivisione .
Mauro Vecchio