Tutelare la libertà d’esprimersi e la libertà di informarsi, con una regolamentazione sul commercio. Quella che appare una via tortuosa è una strada percorribile: il Parlamento Europeo ha votato a favore di una proposta che, nel tentativo di abbattere le barriere fra il mercato UE e il resto del mondo, potrebbe scoraggiare le censure di stato e offrire ai cittadini della rete la possibilità di partecipare più attivamente alla società civile on- e off- line.
La libera circolazione dell’informazione, a parere di Jules Maaten, parlamentare europeo olandese, è la linfa che dà vita alla rete, che innerva il sistema economico e sociale di Internet. C’è Maaten dietro alla risoluzione che, con il supporto della Commissione Europea, potrebbe sfociare in una tutela più stringente dei diritti dei cittadini dei paesi con cui l’Unione Europea ha relazioni commerciali. Maaten suggerisce infatti che gli argini e le canalizzazioni imposti al fluire dell’informazione da parte di innumerevoli stati del mondo ostacolino l’operato delle net company , costrette a rinunciare alla visibilità, rassegnati a non poter offrire i propri servizi in paesi imbavagliati dalla censura.
“La grande muraglia digitale cinese dovrebbe essere considerata come una barriera alle attività commerciali” ha spiegato Maaten. Non sono solo gli attori americani ad essere danneggiati nelle proprie attività commerciali con i paesi che censurano la rete: “anche le Internet company europee come ad esempio Wanadoo, Telecom Italia e France Telecom devono involontariamente sottostare alla censura imposta nei paesi autoritari”. Per questo motivo Maaten chiede all’Unione Europea di studiare una regolamentazione analoga al Global Online Freedom Act statunitense, che tuteli la libertà di circolazione di idee e di affari, sul doppio binario dei diritti umani e dei diritti di coloro che agiscono sul mercato.
La proposta di Maaten ricalca quanto già osservato da Google lo scorso anno. Dopo l’ ammissione e il ravvedimento per aver contribuito ad erigere in Cina la grande muraglia digitale, il gigante dell’advertising ha in più occasioni sottolineato come le pratiche censorie messe in atto da numerosi paesi del mondo non calpestino solo i diritti dei cittadini , ma anche quelli dei player commerciali che agiscono sul mercato globale della rete. La censura intralcia le attività delle aziende che basano il proprio modello di business sul web, la censura impedisce a Google di fornire servizi e di distribuire pubblicità ad un pubblico globale.
E se Google spingeva per l’intervento del legislatore, Microsoft, anch’essa nel mirino per aver collaborato con il regime cinese, dopo aver minacciato di ritirarsi dal mercato della Repubblica Popolare per ragioni etiche, rimane fiduciosa nel dirompente potenziale delle dinamiche economiche, capaci di abbattere ogni barriera che ostacoli la libera circolazione di informazione e di denari.
Ma fra le tre aziende più colpite dalle accuse di collaborazionismo e più attive nel proporre una responsabilizzazione, Yahoo! sembra essere quella che vacilla fra i compromessi con le autorità dei paesi censori e le aggressive dimostrazioni di voler tutelare i diritti umani. A pochi mesi dalla conclusione del caso Shi Tao , una nuova denuncia si è abbattuta sull’azienda: avrebbe passato al governo cinese i nomi di diversi cyberdissidenti. Uno dei querelanti gestiva un’azienda che il governo cinese ha radiato dai risultati delle ricerche, con la collaborazione di Yahoo!.
Gaia Bottà