La Commissione europea ha diffuso gli ultimi dati sul commercio elettronico , uno studio avviato nel 2015 utile a comprendere gli sviluppi del mercato e difenderlo da pratiche concorrenziali scorrette. Ciò che emerge è un trend sicuramente positivo per lo sviluppo dell’e-commerce nonostante ci siano campanelli d’allarme verso alcune pratiche commerciali che limitano la concorrenza online.
L’obiettivo dell’indagine settoriale è proprio quello di consentire alla Commissione di individuare gli eventuali problemi di concorrenza sui mercati europei del commercio elettronico e supportare le proposte legislative. Quella pubblicata in questi giorni è una relazione preliminare che considera i dati provenienti da 1.800 imprese coinvolte nella vendita sul web di beni di consumo e contenuti digitali e 8mila contratti di distribuzione per stimolare la trasparenza e la concorrenza sui prezzi .
Si nota che le aziende sono sempre più attente ai canali distributivi. In alcuni casi, per tutelare il marchio, si ricorre a sistemi di distribuzione selettiva che contemplano la vendita solo attraverso rivenditori autorizzati e selezionati . In altri casi invece si assiste a una crescita dei casi di vendita diretta dal produttore al consumatore finale (il 64 per cento degli intervistati dichiara di aver aperto nell’ultimo decennio il suo negozio online). Non è raro incorrere in forme di restrizione contrattuale , come “raccomandazioni” sui prezzi da applicare (oltre due su cinque) e restrizioni sulle vendite transfrontaliere (oltre uno su dieci). Altre forme di restrizione sono però ancora più forti poiché tendono a inibire il commercio online. È così che in un caso su cinque vengono imposte pesanti limitazioni sulla vendita elettronica e in un caso di dieci viene limitata la presenza sui siti di comparazione prezzi.
Le restrizioni dei retailer
In tema di diffusione dei contenuti digitali invece, la limitazione maggiore arriva dal cosiddetto ” geoblocco “. Impostare confini virtuali per la vendita di contenuti viola le norme antitrust dell’UE. Eppure sono all’ordine del giorno nella stipula di accordi di licenza sui diritti d’autore. Tali accordi stabiliscono spesso quali territori, tecnologie e finestre di distribuzione possono utilizzare i fornitori di contenuto digitale in maniera “esclusiva”. Il blocco geografico riguarda quasi 4 retailer su 10 per via di imposizioni spesso unilaterali che rappresentano un limite alla diffusione del mercato unico digitale . Non a caso è probabile che sulla futura direttiva sul copyright sarà inserito un riferimento esplicito a questa pratica scorretta, ribadita in più occasioni anche dai rappresentanti della Commissione Europea, non ultimo il vice presidente Andrus Ansip con un recente Tweet .
Il geoblocco per tipo di contenuto
Per quanto riguarda i prezzi emerge che il 53 per cento dei retailer compete sui prezzi adottando anche sistemi automatici per monitorare quelli applicati dai competitor. In presenza di una certa omogeneità di prezzi è evidente che a fare la differenza sono i servizi offerti. Ecco che ad esempio i servizi di prevendita rischiano di viziare in parte il mercato, così come le pratiche di free-riding. Si approfitta di dimostrazioni di prodotto o di valutazione del prodotto tangibile in negozio fisico, ma poi si acquista sul canale online. Il fenomeno in questo caso prende anche il nome di showrooming .
Margrethe Vestager, Commissaria europea responsabile della politica di concorrenza, ha dichiarato: “Il commercio elettronico è diventato importante per i consumatori e incide fortemente sulle attività e sulle strategie aziendali. Le imprese devono essere libere di determinare le proprie strategie di vendita online. Al tempo stesso, le autorità antitrust devono garantire che non vengano attuate pratiche commerciali anticoncorrenziali tali da impedire ai consumatori europei di beneficiare appieno dei vantaggi offerti dal commercio elettronico in termini di maggiore scelta e prezzi più bassi.”
Mirko Zago