Le autorità europee tornano a occuparsi di privacy online e motori di ricerca, accusando apertamente Google, Microsoft e Yahoo! di non fare abbastanza per anonimizzare i log di traffico sia nei tempi che nelle modalità pratiche di trattamento delle informazioni. Particolarmente grave il caso di Google , “colpevole” di non essersi ancora allineato (al contrario dei concorrenti) all’obbligo di anonimizzare i log e cancellare gli indirizzi IP entro sei mesi dall’archiviazione.
Ad accusare i tre giganti del search è come sempre il Gruppo di Lavoro Articolo 29 , che affianca l’Unione Europea quando si tratta di stabilire regole in materia di privacy. Nelle lettere spedite alle tre aziende incriminate, il gruppo Articolo 29 richiama le suddette aziende alla loro responsabilità e chiede a ciascuna di fare di più e di essere più trasparente in merito alle modalità di gestione delle informazioni.
Dal punto di vista dei tempi di anonimizzazione dei log, Yahoo! e Microsoft sono già allineati al limite temporale dei 6 mesi mentre tanto resta ancora da fare in merito al trattamento vero e proprio : a Yahoo! la UE chiede di conoscere con maggior precisione “le tecniche di hashing, specialmente riguardo agli identificativi degli utenti e i cookie”.
Per Microsoft c’è la richiesta, tutt’ora inevasa, di cancellare i cookie oltre agli IP dalla cronologia delle ricerche. Redmond era stata l’ ultima delle tre aziende incriminate , all’inizio del 2010, a comunicare l’adozione della policy dei sei mesi imposta dall’Europa.
A Google il gruppo di lavoro dedica la reprimenda più dura, perché Mountain View conserva le informazioni di traffico per un periodo di nove mesi e i cookie per 18 mesi, in seguito cancellando in maniera parziale gli indirizzi IP per difendere la privacy degli utenti. Niente di tutto ciò accontenta l’Europa , che spedisce “per conoscenza” i propri rilievi anche alla Federal Trade Commission statunitense affinché quest’ultima possa valutare eventuali profili di illegalità nella pratica dei principali motori di ricerca del web.
Alfonso Maruccia