Canon digital . Così viene chiamata in Spagna la versione locale del cosiddetto equo compenso, alla luce di un provvedimento di estensione di nuove tasse sui dispositivi elettronici che a suo tempo aveva scatenato una vera e propria rivolta popolare . Alla Sociedad General de Autores y Editores (SGAE) – equivalente iberico della SIAE – era così stato affidato il compito di raggranellare soldi da destinare poi ai vari artisti, altrimenti penalizzati dalla realizzazione di copie private su dispositivi vergine come CD e DVD.
Un balzello compatibile con le attuali leggi europee sul copyright, in particolare con la specifica direttiva che autorizza la copia privata solo a patto che i detentori dei diritti vengano ricompensati in maniera equa . Un assunto da cui è recentemente partita la Corte di Giustizia del Vecchio Continente, chiamata ad esprimersi dopo il ricorso in appello da parte di una società distributrice di supporti e media player.
Gli alti vertici di Padawan erano infatti stati accusati da SGAE di non aver mai effettuato il pagamento del canon digital per i dischi acquistati. Inizialmente condannata, la società distributrice aveva fatto ricorso in appello, sottolineando come l’applicazione indiscriminata della tassa non fosse in linea con le leggi europee sul copyright . Una tesi approvata – ma solo a metà – dalla Corte di Giustizia d’Europa.
L’equo compenso sarebbe in linea con la Direttiva Europea sul Copyright laddove ad acquistare un disco o un device sia un comune cittadino . Secondo la corte, non ci sarebbe alcun bisogno di dimostrare l’avvenuta attività di copia da parte di un singolo consumatore. Si assume, in altre parole, che un disco vergine verrà utilizzato quasi certamente per effettuare una copia privata e che sia pertanto necessario compensare i legittimi detentori dei diritti.
Ma si parlava solo di una mezza compatibilità . L’Europa ha infatti sottolineato come questo stesso ragionamento non abbia validità per le aziende come ad esempio Padawan . Le attività del settore business sarebbero dunque significativamente diverse da quelle di un privato cittadino. L’assunto relativo allo sfruttamento quasi inevitabile dei dischi per la copia privata non resterebbe più in piedi per quanto concerne una società.
Da questo punto, l’imposizione indiscriminata di una tassa come il canon digital non può risultare in linea con le attuali leggi europee sul diritto d’autore. Nessun equo compenso andrebbe dunque pagato a SGAE per aver acquistato dischi e media player, dato che le attività di un’azienda non possono essere direttamente collegabili ad alcun danno (reale o potenziale) subito dai vari detentori dei diritti.
Mauro Vecchio