Bruxelles – La tecnologia più avanzata offre all’uomo molte importanti possibilità e ci sono casi in cui l’impianto di sofisticate tecnologie elettroniche all’interno dell’organismo può significare il ritorno ad una vita normale per chi soffre di numerose patologie. Oggi è in parte già così e domani lo sarà ancora di più. Ed è per questo che l’ EGE , lo European Group on Ethics in Science and New Technologies , ha sollecitato la UE a prendere subito una decisione e una direzione sui nuovi impianti tecnologici.
In un parere dell’organismo europeo, che ha il ruolo di “consulente etico” per le autorità comunitarie, si legge come la distanza tra uomo e macchina vada riducendosi e, seppure ancora all’inizio di un processo destinato a protrarsi per lungo tempo, la questione va affrontata. Le nanotecnologie e la ricerca biogenetica sono solo due dei binari sui quali corre una ricerca oggi ancora di nicchia, e perlopiù legata a branche assai specifiche della ricerca medica, ma sono settori che evidenziano potenzialità che da un lato affascinano e dall’altro, come spesso accade per le tecnologie di frontiera, preoccupano .
Il primo rischio individuato da EGE è che si crei un mondo a due velocità . La possibilità di sfruttare certe tecnologie per dare al proprio organismo facoltà superiori in prospettiva sembra delineare uno scenario oscuro. Ed è per questo, scrivono gli autorevoli membri del comitato europeo, che “ogni sforzo deve essere fatto per assicurarsi che gli impianti ICT non vengano utilizzati per dar vita ad una società a due velocità. L’accesso agli impianti ICT di miglioramento dovrebbe essere concesso solo allo scopo di portare bambini o adulti (malati, ndr.) nella fascia normale della popolazione”.
Una visione, dunque, che taglia fuori l’utilizzo indiscriminato degli impianti al di fuori di un procedimento di terapia medica. Con una eccezione: “Un secondo scopo che può essere ricercato – scrive EGE – è legato alle prospettive di miglioramento della salute, come il perfezionamento del sistema immunitario per renderlo resistente all’HIV, ad esempio”.
A lato di tutto questo, evidentemente, il problema fondamentale dell’uso degli impianti come strumenti di sicurezza : chip impiantati sottopelle potrebbero, ad esempio, consentire alle forze dell’ordine di tenere traccia di condannati a piede libero, di persone in libertà vigilata e via dicendo. “EGE – scrive il Comitato – sottolinea l’importanza non solo del diritto dell’individuo di proteggere i propri dati ma anche del fatto che la società debba assicurarsi che i sistemi online e quelli di sorveglianza, laddove permessi, non diventino strumenti di restrizioni insopportabili”. Va detto che oggi l’uso di impianti come strumenti di controllo è accettato in ambito UE ma solo laddove il paese membro dell’Unione abbia dedicato una normativa specifica alla questione.
Può far sorridere ma c’è una frase del documento EGE che più di altre delinea le difficoltà in cui si sono imbattuti i membri di questa particolarissima e fondamentale commissione nell’analizzare una questione tanto delicata. “L’uso di impianti ICT per guadagnare il controllo da remoto sulle persone – scrive EGE – dovrebbe essere proibito severamente”.
La determinazione di EGE sulla questione degli impianti potrà presto essere utilizzata dall’Unione Europea per mettere sul tavolo nuove normative comunitarie capaci di definire un perimetro entro il quale l’uso degli impianti dovrà essere limitato. Nella speranza, naturalmente, che il facile accesso alla ricerca in paesi extraUE non riduca ancora una volta le buone intenzioni in parole al vento.
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