L’Europa deve assumere “un ruolo di protagonista nell’Internet della prossima generazione”: ad invocarlo è la Commissione Europea, che ha indetto una consultazione pubblica per assemblare i pareri dei cittadini, per raccogliere proposte che traghettino l’Unione verso l’Internet del futuro. Un traguardo sfaccettato e immerso ancora in una cortina di indefinitezza, un traguardo che alle autorità piace racchiudere sotto l’etichetta di Web 3.0.
Le autorità europee fanno sfoggio di consapevolezza in materia: “Nel 2007 un quarto degli europei usava siti web 2.0”, recita con autorevolezza il comunicato stampa che fa da cornice all’avvio della consultazione. Un comunicato che non spiega cosa sia il Web 2.0. È un oggetto che incentiva la collaborazione come fu per la Internet degli albori? Oppure l’espressione dell’avvento di una nuovo modello di interazione garantito dalle tecnologie? Oppure semplicemente non esiste?
“Ora stanno prendendo piede le applicazioni aziendali basate sulle reti sociali – snocciola ulteriori dettagli l’addetto stampa – tra il 2006 e il 2011 si prevede un aumento anche per il software aziendale basato su Internet (+ 15% a livello mondiale)”: i tempi sembrano maturi perché si possa palesare “una nuova generazione di Internet”. Conferma il Commissario per la società dell’informazione e i media Viviane Reding: “L’Europa ha le competenze e la capacità di rete necessarie per essere all’avanguardia di questa trasformazione”. Reding vede stagliarsi all’orizzonte “l’Internet del futuro”: per non perdere questa occasione è indispensabile “far sì che il Web 3.0 sia fatto e utilizzato in Europa”.
L’Internet del futuro si configura dunque come un nuovo paradigma per il Web? Il concetto di Web 3.0 è quantomeno sfumato: c’è chi come Tim Berners-Lee riempie questa categoria di metadati, di strati descrittivi, di ontologie e di strumenti che sappiano organizzare la conoscenza di rete come se ne comprendessero il reale significato, c’è chi intravede nel Web 3.0 un nuovo livello di collaborazione fra utenti e macchine, c’è chi prende tempo e si interroga con cautela sul nuovo corso del Web.
Ma Reding invece ha le idee chiare: “Web 3.0 significa potersi dedicare ad attività commerciali, sociali e ricreative in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo , senza soluzioni di continuità, grazie a reti veloci, affidabili e sicure”. Il concetto di Web 3.0 sembra debordare da definizioni che sembravano incrollabili tanto da sbaragliare le differenze tra servizi e infrastrutture: “il Web 3.0 – spiega Reding – mette fine alla divisione tra linee fisse e mobili e rappresenta un enorme balzo in avanti dell’universo digitale, che da qui al 2015 vedrà decuplicata la sua scala”. Reding si attende che i cittadini dell’Unione europea e della rete sappiano offrire risposte, sappiano ritagliare un ruolo per la “Internet degli oggetti”, il fulcro della consultazione. Chissà che qualcuno non decida di intervenire per diradare le nebbie che confondono i confini tra le categorie adottate dall’Unione Europea.
Gaia Bottà