Milioni di persone in tutto il mondo, oggi, comunicano il proprio pensiero, informano, si informano e diffondono video di carattere scientifico, educativo, ricreativo e culturale attraverso grandi piattaforme di condivisione e aggregazione di contenuti audiovisivi che li ospitano, organizzano, catalogano e pubblicano. YouTube, Dailymotion, Vimeo e, più in generale, i cosiddetti User Generated Content oggi svolgono dunque un ruolo centrale nelle dinamiche di circolazione delle idee, della cultura e dell’informazione.
La disciplina applicabile a tale genere di attività gioca, dunque, un ruolo strategico nella società dell’informazione: da essa dipendono, in larga misura, il livello di libertà di manifestazione del pensiero garantito ai cittadini, lo sviluppo del progresso scientifico e culturale così come l’educazione e l’intrattenimento.
È una parte importante del nostro presente e del nostro futuro.
La centralità di tale questione e l’importanza di garantire un quadro di regole certe alla materia sembra, tuttavia, poco chiara a chi ci governa che per malizia, ignoranza o per una miscela esplosiva di entrambe, continua a trattarla con la stessa approssimazione e cialtroneria con la quale si negozia frutta, verdura e ciarpame in un suk. La storia della disciplina relativa all’attività di fornitura di servizi media audiovisivi è sintomatica di tale preoccupante realtà.
La Direttiva 2007/65/CE , relativa all’esercizio delle attività televisive, al considerando (16) chiarisce, lasciando spazio a ben pochi dubbi interpretativi, che il proprio ambito di applicazione deve ritenersi limitato ” a tutte le forme di attività economica, comprese quelle svolte dalle imprese di servizio pubblico, ma non dovrebbe comprendere le attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse “. Nessun dubbio pertanto che in Europa i gestori delle piattaforme User Generated Content (YouTube, Dailymotion, Vimeo ecc) non possono essere considerati “fornitori di servizi media audiovisivi”, né assoggettati alla nuova disciplina relativa all’attività radiotelevisiva.
L’allora vice-ministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, frattanto promosso a Ministro, agli inizi del 2010, nel presentare al Parlamento il primo schema di quello che sarebbe poi divenuto il cosiddetto ” Decreto Romani “, attraverso il quale il nostro Paese avrebbe dovuto dare attuazione alla Direttiva UE, propose di omettere ogni limitazione e di far dunque rientrare gli UGC nell’ambito di applicazione della nuova disciplina.
In primavera, tuttavia, la pioggia di critiche raccolte, lo costrinsero a tornare sui suoi passi e, quindi, a reintrodurre, nella versione definitiva del provvedimento la citata limitazione, chiarendo appunto che la vecchia disciplina del testo unico radiotelevisivo – oggi testo unico della fornitura di servizi media audiovisivi – non deve trovare applicazione nei confronti dei ” servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse “.
I gestori di piattaforme UGC tornano dunque – come peraltro sembra naturale – ad essere considerati una cosa diversa dalla televisione di ieri e di oggi.
Frattanto, arrivata l’estate, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, in attuazione di quanto previsto dal Decreto Romani, lancia una consultazione pubblica su due bozze di regolamenti relativi alla fornitura di servizi media audiovisivi in modalità lineare e non lineare.
Nelle bozze, l’Autorità manifesta l’intenzione di riprodurre nei due emanandi regolamenti, letteralmente, le stesse identiche definizioni contenute nel Decreto Romani. Scelta di dubbia opportunità ed utilità ma che, comunque, sembra confermare l’intenzione di lasciare i fornitori di servizi UGC fuori dall’ambito di applicazione della disciplina sui servizi media audiovisivi.
Nel corso dell’audizione, tuttavia, qualcuno – non è dato sapere chi, ma le ipotesi di molti osservatori convergono – suggerisce all’Autorità di estendere l’ambito di applicazione dei due regolamenti sino a farvi rientrare anche le piattaforme UGC.
Si legge, al riguardo, nella delibera 607/2010/CONS dell’AGCOM ” un soggetto… propone di estendere l’applicabilità del Regolamento a soggetti che non selezionano necessariamente ex ante le opere inserite nei cataloghi, ma che operano comunque una selezione ex post, riservandosi il potere di eliminare dal catalogo contenuti ritenuti in contrasto con le proprie scelte editoriali, e soprattutto svolgono un’attività di organizzazione delle opere anche inserite nel catalogo da terzi, allestendo sistemi di classificazione ed etichettatura dei contenuti, e consentendone il reperimento da parte degli utenti all’interno del catalogo “.
Più chiaro di così, davvero, non sarebbe stato possibile. L’ignoto suggeritore propone che la nuova disciplina sia applicata anche a YouTube, Dailymotion, Vimeo ecc., salva l’eventuale inapplicabilità qualora tali soggetti siano stabiliti in un Paese UE diverso dall’Italia.
Il suggerimento deve, evidentemente, provenire da soggetto particolarmente autorevole – o, almeno, dotato di un certo ascendente su AGCOM – perché l’Autorità del Presidente Calabrò decide di seguirlo, disattendendo la scelta del legislatore nazionale (Decreto Romani) e quella del legislatore europeo (considerando 16 della Direttiva UE 2007/65/CE).
Frattanto, tuttavia, mentre addetti ai lavori e operatori del settore si interrogano sul contenuto dei due regolamenti approvati dall’AGCOM il 25 novembre del 2010 ma non ancora pubblicati, la storia si arricchisce di un altro sconcertante episodio.
L’8 dicembre, infatti, il Commissario AGCOM, Stefano Mannoni, in un’intervista al Sole 24 ore , dice testualmente che lui non scommetterebbe sulla circostanza che la nuova disciplina non sarà applicabile anche a YouTube ed alle altre analoghe piattaforme “perché i criteri di applicabilità delle nuove norme sono il controllo editoriale dei contenuti e insieme il loro sfruttamento economico, per esempio attraverso la pubblicità. YouTube opera una gerarchizzazione dei contenuti, anche se attraverso il suo algoritmo, quindi in maniera automatica, e questo può essere considerato controllo editoriale”. A prescindere dalla dubbia opportunità che un Commissario di un’Autorità indipendente, nel corso di un’intervista, si abbandoni a “scommesse” sul contenuto di un Regolamento da esso stesso già firmato ma non ancora pubblicato, non c’è dubbio che Mannoni, nel commentare la nuova disciplina manifesti il chiaro convincimento che essa deve ritenersi applicabile anche alle piattaforme UGC.
La lettura dei due regolamenti, frattanto pubblicati, sembra dar ragione al Commissario Mannoni. All’art. 2 di entrambi i regolamenti si prevede infatti che ” L’attività di comunicazione e di messa a disposizione di contenuti audiovisivi attraverso internet è libera e, in particolare, sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento: (…)
– i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati che provvedono alla selezione e alla organizzazione dei contenuti medesimi a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse tranne nel caso in cui sussistano, in capo ai soggetti che provvedono all’aggregazione dei contenuti medesimi, sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico “.
Difficile, dubitare – nonostante l’infelice formulazione della norma – della circostanza che l’Autorità abbia inteso estendere l’ambito di applicazione della disciplina anche a quei gestori di piattaforme UGC che abbiano un qualsiasi genere di responsabilità editoriale e sfruttino economicamente i contenuti pubblicati dagli utenti. L’espressione “responsabilità editoriale” può dar luogo a qualche dubbio interpretativo, ma è la stessa Autorità, proprio nella delibera, che prova, per la verità con modesto successo, a chiarire su chi debba gravare la responsabilità editoriale e giuridica quando la pubblicazione e la diffusione del contenuto siano riconducibili a soggetti diversi.
Si legge, infatti, nella delibera 607/2010/CONS che ” nell’ipotesi di responsabilità editoriale attribuibile a più soggetti ” (che peraltro non avrebbe dovuto essere un problema dell’Autorità individuare, ndr) ” …la responsabilità giuridica (va posta, ndr) in capo a chi gestisce in maniera diretta l’effettiva consegna e messa a disposizione del contenuto agli utenti finali, ovvero in capo al soggetto che gestisce direttamente l’ultimo passaggio della filiera per la fruizione del contenuto da parte dell’utente finale. Infatti tale soggetto, benché in astratto non sia in condizione di determinare la scelta di ogni singolo prodotto audiovisivo all’interno delle sezioni di catalogo dallo stesso direttamente offerte, in concreto risulta pienamente in grado di pre-ordinarne la tipologia a livello contrattuale, almeno in termini di qualità e di genere, in relazione alla complessiva linea editoriale del catalogo proposto agli utenti “.
Il riferimento sembra, ancora una volta, a YouTube ed agli altri UGC.
Nelle scorse settimane, in Rete e fuori dalla Rete, si accende quindi un vivace dibattito nell’ambito del quale, tuttavia, si è sostanzialmente tutti d’accordo nel ritenere che la nuova disciplina abbia finito con l’equiparare gli UGC alle TV almeno quando il gestore della piattaforma sia stabilito nel nostro Paese. È una conclusione che fa discutere e solleva pesanti critiche nonché dubbi sulla legittimità del provvedimento varato dall’AGCOM per il suo evidente contrasto con il quadro normativo nazionale ed europeo.
Chiamare il gestore di una piattaforma UGC a rispondere per i contenuti degli utenti, infatti, significa per un verso pretendere di risolvere in assenza di un appropriato confronto e, soprattutto, al di fuori della naturale sede parlamentare, la complessa e delicata questione della responsabilità di taluni intermediari della comunicazione e, per altro verso, spingere inesorabilmente i gestori delle piattaforme UGC a limitare la libertà di pubblicazione di contenuti da parti degli utenti a scopo autotutelativo.
Mercoledì scorso, poi, si scrive, a sorpresa, l’ultima pagina – almeno sin qui – di questa storia da autentico suk delle leggi: rispondendo ad un’interrogazione parlamentare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, si ritrova ad escludere che la nuova disciplina sia applicabile agli UGC.
Tale conclusione è fondata su una personalissima interpretazione del Ministro (non di quello delle comunicazioni responsabile del varo della disciplina primaria, ma di quello dei rapporti con il Parlamento, ndr) secondo il quale “la responsabilità editoriale (necessaria perché un UGC rientri nell’ambito di applicazione della disciplina, ndr) è da intendersi come un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico: pertanto i siti che non selezionano ex ante i contenuti generati dagli utenti, ma effettuano una mera classificazione dei contenuti stessi, non rientrano nel campo di applicazione della norma”.
Sembra l’esatto contrario di quanto scritto nei regolamenti e sostenuto dall’AGCOM nella propria delibera ma questa è la convinzione del Ministro.
Dieci mesi o poco più, sei interpretazioni diverse e contrapposte su una questione strategica per il nostro futuro in presenza di una disciplina europea inequivoca e il quadro normativo resta tanto incerto da non consentire agli operatori di lavorare con serenità e da suggerire loro di stabilirsi all’estero.
Il problema non è di merito o di contenuti ma di metodo.
La disciplina di attività tanto importanti per il nostro futuro non può continuare ad essere affidata a queste dinamiche da suk delle leggi ed ai mercanti di parole che lo popolano.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it