Londra – George Orwell era certo un romanziere, famoso per il suo apologo sulle derive totalitarie di un mondo che nel 1948 poteva solo provare a immaginare. Ma la cronaca di quanto accade quotidianamente nel Regno Unito, in merito alla sempre più ampia diffusione delle tecnologie biometriche per l’identificazione preventiva dei cittadini, rischia di trasformare quel fortunato romanziere nell’anticipatore di un orizzonte che minaccia di diventare ogni giorno più reale . Adesso i dati biometrici delle impronte digitali sono necessari anche per noleggiare un’automobile all’aeroporto inglese di Stansted.
Lo segnala BBC , sottolineando come non ci sia alcuna necessità di consenso da parte degli utenti: i dati delle scansioni delle impronte digitali vengono automaticamente raccolti e immagazzinati dalle aziende di autonoleggio che partecipano al programma, con l’intento di trasferirli alla polizia dell’Essex nel caso in cui il mezzo venisse rubato o usato per un qualsiasi crimine.
Il sergente Vic Murphy, del Criminal Investigation Department di stanza allo scalo aereo di Stansted, specifica come l’iniziativa sia dettata dalla necessità di dare una risposta decisa alle bande criminali che hanno preso di mira gli autonoleggi aeroportuali, da cui le automobili vengono rubate con estrema facilità utilizzando passaporti, licenze di guida e carte di credito tutte rigorosamente false.
Così si è deciso di affidarsi alle nuove metodologie di identificazione offerte dalla pervasività del controllo biometrico. Ma la privacy? “Non è per nulla invadente – dichiara il sergente Murphy a riguardo dello scanning obbligatorio – È un metodo differente, ed è necessario che le persone si adattino ad esso. Questo non è il Grande Fratello, è solo un’iniziativa per proteggere l’identità delle persone. La polizia non controllerà mai quelle impronte, a meno di trovarsi di fronte ad un crimine”.
Per quanto il detective cerchi di apparire accomodante con le sue dichiarazioni, l’iniziativa non sembra sia stata recepita positivamente da tutti i clienti . Qualcuno ha scritto per lamentarsi: Ciaran Moore, residente a Belfast, ha manifestato il proprio stupore alla richiesta dello scanning, credendo si trattasse di una burla. Per non parlare, commentano altri, della “sproporzione” della raccolta delle impronte: secondo la logica dell’iniziativa, la stessa regola dell’obbligatorietà dovrebbe valere anche per controllare chi prende l’aereo.
Preoccupano inoltre i rischi connessi al possibile furto degli archivi biometrici, fa notare Moore: le forze di polizia, ancora una volta, gettano acqua sul fuoco, assicurando che ulteriori controlli di sicurezza sono stati approntati per evitare possibili frodi. Europcar , una delle società coinvolte nella sperimentazione, ha dichiarato altresì l’intenzione di estendere il controllo a mezzo impronte a tutti i propri esercizi, qualora questa iniziativa pilota avesse il successo sperato.
E proprio la cruciale necessità di sicurezza è la grancassa su cui battono gli attori pubblici e privati dell’onnipresente controllo biometrico sul suolo britannico: è un approccio pragmatico alla sicurezza , dicono i suoi sostenitori, in una società sempre più immersa nella tecnologia in evoluzione continua. E gli innocenti, si ripete, non hanno nulla da temere dai nuovi sistemi.
Nei primi mesi dell’anno l’Inghilterra ha introdotto la registrazione obbligatoria di impronte digitali e iride gestita in un database nazionale centralizzato, e già sono state vendute più di un milione di smartcard identificative contenenti il chip con all’interno i dati. La biometria si rivela inoltre utile per facilitare e rendere più pratiche e sicure le operazioni di acquisto nei centri commerciali , sia per i clienti che per gli esercenti: Pay By Touch , già impegnata in soluzioni di commercio elettronico basato sull’ identificazione biometrica per via telematica , ha introdotto in via sperimentale la propria tecnologia di pagamento alla cassa via impronte, in tre centri commerciali nell’Oxfordshire dopo averla adoperata con successo per circa tre milioni di acquirenti negli Stati Uniti.
E la prospettiva è che il controllo aumenti ancora: “Sta diventando parte della vita di tutti i giorni”, dichiara la dottoressa Maria Pavlou dell’Università di Sheffield, istituto che ospita l’ICARIS, International Centre for Advanced Research in Identification Science . La regola generale secondo cui nessun sistema di sicurezza è privo di punti deboli, che vale anche per il riconoscimento biometrico, spingerà in futuro verso lo sviluppo di sistemi di controllo multipli .
“Se un lavoratore usa le mani per la sua professione”, continua la dottoressa Pavlou, “potrebbero esserci segni e tagli tali da rendere difficoltoso l’utilizzo delle impronte per l’identificazione”. In questo caso, basterà adottare un controllo incrociato che verifichi anche i punti individuali dell’iride e dei tratti del volto. L’iride, in particolare, è particolarmente affidabile per il riconoscimento personale (per via dell’alto numero di caratteri individuali identificabili, di molto superiore rispetto a quanto possibile con le impronte), e meccanismi basati sulla sua identificazione vengono già testati negli aeroporti di Manchester e Heathrow.
Spiati, controllati, costantemente sotto l’occhio guardingo di una serie frammentata ma non meno occhiuta di piccoli sistemi di controllo pubblici e privati, convenzionati e approvati dallo stato inglese che ci mette del suo: persino la voce, o il modo di camminare, potrebbero essere impiegare per l’identificazione senza via di scampo. Nonostante le giustificazioni date dalle autorità sulla necessità della sicurezza pubblica, i dubbi rimangono tanti e senza risposta .
L’organizzazione pro-diritti civili Liberty sottolinea l’assoluta mancanza di informazione trasparente e di dibattito pubblico a riguardo delle problematiche sollevate dai nuovi apparati di controllo: “Questa tecnologia è davvero necessaria per l’obiettivo che vogliamo raggiungere?”, dice un portavoce della società: “La tecnologia si evolve molto velocemente – ma la società civile è stata consultata?”.
E una volta raccolti tutti questi dati, dove verranno conservati? Chi vi avrà accesso e a che titolo? Ci sarà un controllo centralizzato dei database? E per quale motivo i dati di persone innocenti dovrebbero essere registrati e archiviati in questo modo? L’associazione rifiuta di accettare l’assioma secondo cui “se non hai niente da nascondere, non hai niente di cui aver paura”. Avere a cuore la propria privacy non significa necessariamente nascondere attività o intenti criminosi , suggerisce Liberty.
Alfonso Maruccia