L’obiettivo è quello di fare terra bruciata intorno ai siti che lucrano sui contenuti condivisi in violazione del diritto d’autore, la strategia è quella di una lista nera capace di infangare la reputazione degli inserzionisti: elencando una serie di siti che si alimentano di pubblicità e mostrandola agli inserzionisti, le forze dell’ordine britanniche auspicano di ridurre allo stremo i siti del business pirata.
Il cosiddetto approccio follow the money , da anni caldeggiato da Google, abbracciato da numerosi gestori di transazioni online, e sfiorato anche dal regolamento AGCOM appena entrato in vigore in Italia, chiede la collaborazione di tutti gli attori dell’economia digitale che prestano indiscriminatamente i propri servizi: facendo leva sul senso di responsabilità, illustrando i possibili danni alla reputazione che si riverberano dalle attività dei siti illeciti , si tenta di isolare gli snodi della pirateria da tutte le loro possibili fonti di guadagno. La stessa tattica è stata ora adottata dalla Police Intellectual Property Crime Unit (PIPCU), la nuova divisione della Polizia londinese dedicata alla repressione delle violazioni del copyright.
Il tutto si concentra in una semplice blacklist costantemente aggiornata in cui sono elencati gli URL dei siti individuati dall’industria del copyright e dalle associazioni che rappresentano gli inserzionisti e gli operatori della pubblicità, verificati da PIPCU. L’accesso alla lista nera è consentito solo e soltanto agli inserzionisti e alle agenzie che si occupano di advertising: questa rischiosa opacità è frutto di un compromesso, è stata scelta affinché la blacklist non si trasformi in un indirizzario ad uso e consumo dei cittadini della Rete ma rappresenti un punto di riferimento per non associare la reputazione dei marchi a quella della condivisione illegale.
L’adesione degli inserzionisti al boicottaggio dei siti pirata è incoraggiata dalle prospettive tracciate dalle forze dell’ordine: pubblicizzare attività sui siti della lista nera, si ammonisce, significa finanziare l’illecito online, senza contare che i siti pirata sono spesso veicolo di truffe mediate dall’advertising. La visibilità a pagamento su questi siti, dunque, non poterebbe vantaggi agli inserzionisti ma si limiterebe a garantire agli operatori dell’illecito un’ aura di affidabilità trasmessa da marchi noti.
Citando i dati raccolti nello studio della non profit Digital Citizens Alliance, PIPCU riferisce che il mercato dell’advertising nel 2013 è valso globalmente per i siti pirata 227 milioni di dollari. L’iniziativa, resa pubblica dopo un periodo di sperimentazione, ha l’obiettivo di soffocare questo mercato e i primi fruttuosi tre mesi di applicazione del progetto hanno garantito la riduzione del 12 per cento dell’advertising su siti pirata fornito dai maggiori brand britannici.
Gaia Bottà