Ennesima cambio di tattica per ACS:Law , la società legale ben nota per la sua attività di intimidazione nei confronti degli utenti del file sharing nel Regno Unito: dopo le lettere che invitano i presunti colpevoli a pagare per evitare di finire in tribunale, gli avvoltoi del copyright passano ora ai questionari obbligatori. Non compilarli significa dover affrontare il giudice , dice ACS:Law, mentre rispondere a ognuna delle domande equivale a una confessione bella e buona.
A denunciare la nuova strategia messa in pratica da certi “avvocati” britannici è l’organizzazione dei consumatori Which? dopo essere venuta in possesso di una copia del questionario incriminato. Secondo ACS:Law, il destinatario del documento dovrebbe indicare con precisione informazioni come l’effettiva disponibilità di una connessione a Internet, lo stato sicuro o non sicuro della rete wireless, l’eventuale impiego di un software di file sharing e le motivazioni di tale attività, la disponibilità a farsi analizzare il PC da parte di non meglio precisati investigatori, l’eventuale condivisione del network senza fili con altre persone.
La compilazione del questionario di ACS:Law equivale sostanzialmente a una confessione dettagliata sin nei minimi particolari, dicono quelli di Which?, un’ammissione di colpa che per di più risparmierebbe alla società legale il lavoro sporco di investigare e supportare con fatti concreti le accuse mosse dai suoi clienti in seno all’industria multimediale.
“Penso che sia scandaloso che ACS:Law chieda ai consumatori di fornire prove con cui sostenere le accuse portate in rappresentanza di suoi clienti, soprattutto visto che molti dei riceventi possono non avere alcuna rappresentanza legale”, ha dichiarato la responsabile degli affari legali di Which? Deborah Prince.
Si tratterebbe di una tattica davvero subdola, aggiunge Prince, “l’ennesima variante di quello che noi crediamo sia un comportamento prepotente da parte di ACS:Law”. Tanto più che la non compilazione del questionario, rassicura Which?, non costituisce in alcun modo una prova di colpevolezza come la società legale vorrebbe far intendere.
Alfonso Maruccia