Dando in qualche modo seguito a una tendenza già evidenziata in precedenti occasioni, la società di ricerca specializzata in media e tecnologia The Leading Question ha messo insieme un rapporto da cui emergerebbe che gli utenti inglesi, teenager in prima fila, avrebbero ridotto le loro abitudini di condivisione illegale per passare a rifornirsi di suoni e stimoli musicali dai vari servizi di streaming disponibili sul web.
La ricerca è stata condotta intervistando un gruppo composto da mille appassionati di musica tra i 14 e i 64 anni, escludendo quelli privi di accesso a banda larga e cellulari. Nel complesso, a gennaio 2009 solo il 17 per cento del gruppo interessato si intratteneva con regolarità in attività di file sharing su base mensile, un calo del 22 rispetto rispetto a dicembre 2007. Il calo è ancora più evidente nella fascia d’età tra i 14 e i 18 anni, dove si è passati dal 42 per cento al 26 per cento nello stesso arco temporale.
Gli utenti britannici, in particolare quelli giovanissimi, sono passati (nel 65 per cento dei casi) secondo Leading Question dalla “pirateria digitale” del P2P ai siti di streaming come YouTube, MySpace, Vimeo e Spotify . Quasi un terzo (il 31 per cento) dei teen ascolta musica in questo modo ogni singolo giorno, mentre il 19 per cento degli utenti acquista tracce singole su iTunes e altri store digitali.
Che il furore delle major e la paventata possibilità di introdurre misure draconiane di minaccia e disconnessione siano servita a ridurre i sudditi di sua Maestà a più miti consigli nell’ambito del file sharing? Forse, ma The Leading Question avverte che se lo sharing online è diminuito quello “off-line”, il passaggio di MP3 tra player portatili, smartphone e CD masterizzati avanza come e più di sempre.
La crescente importanza dello streaming nella vita digitale dei giovani musicofili rappresenta comunque un’ ottima notizia per le major discografiche, che possono approfittare delle mutate abitudini per vendere merchandising, biglietti per i concerti live e più in generale tutti quei prodotti collaterali al contenuto musicale vero e proprio.
E magari stime come quella di The Leading Question potrebbero anche servire a far passare l’idea che il P2P, tutto considerato, non è l’apocalisse. I guizzi innovativi di alcune dinamiche realtà discografiche mostrano che la rete può essere cavalcata a favore del mercato.
E in attesa che gli executive delle major sappiano interpretare appieno le abitudini delle platee connesse c’è chi contribuisce a sviluppare il dibattito sull’utilità pratica del P2P nell’accesso a contenuti difficili da recuperare altrimenti. È il caso dell’attore, regista e autore Stephen Fry che ha candidamente confessato di aver scaricato uno show televisivo (l’ultima puntata di House ) su rete BitTorrent visto che si trovava in Indonesia e non aveva altro modo di procurarselo.
Alfonso Maruccia