“Napster è stato la Stele di Rosetta della musica digitale”. Non è stato Shawn Fanning a dirlo , bensì un alto ufficiale della British Recorded Music Industry (BPI). In un recente articolo apparso sul sito della BBC, il direttore Geoff Taylor ha ammesso un rimpianto: l’industria della musica non si è mossa abbastanza velocemente per comprendere l’uso della rete per la promozione e la vendita di dischi.
“Molti critici hanno fatto presente come l’industria della musica avrebbe potuto evitare alcuni problemi di oggi se avesse abbracciato Napster anziché combatterlo – spiega Taylor – questo è probabilmente vero e, da par mio, rimpiango che l’industria non sia stata rapida nell’ideare modelli musicali sostenibili su internet”. Parole che faranno decisamente la felicità di un’intera generazione di artisti cresciuta con Napster, ostile al dominio delle etichette e ai loro introiti sui diritti di sfruttamento dei brani.
Il Napster delle origini ha inaugurato una nuova era nell’universo digitale, svelando un potere decentralizzato basato sugli utenti e sul P2P. Questo “tsunami” (per dirla con lo stesso Taylor) di connessioni tra computer ha rivelato innanzitutto al mondo una nuova tecnologia, aprendo solo in seguito ad una vera e propria rivoluzione sociale e culturale. “L’invenzione di Napster – si legge nell’articolo – e tutto quello che è venuto dopo consegneranno presto una grande eredità, un rinascimento di creatività artistica per l’era digitale”.
Creatività che, tuttavia, dovrà continuare ad essere retribuita. Non a caso, il marchio Napster ha abbandonato la sua lotta contro le cosiddette Big Four della musica. È, inoltre, recente la decisione della catena Best Buy di rilanciare il servizio con un minimo abbonamento di 5 dollari al mese per ascoltare (rigorosamente in streaming) circa 7 milioni di brani disponibili in archivio.
Avere un rimpianto non significa per forza sognare un futuro privo di ricompense per quello che si crea. “Shawn Fanning e i suoi seguaci P2P non si sono preoccupati degli ostacoli di natura legale – continua Taylor – e non erano preparati per pagare giuste royalty né per allacciarsi ad un modello di business che fosse in grado di sostenere nuovi investimenti nella nuova musica”. Questo, secondo il capo di BPI, tenderebbe a giustificare le difficoltà avute dall’industria musicale davanti ad un fenomeno come Napster. Difficoltà come quella relativa ai diritti per milioni di brani in varie nazioni del mondo o come l’implementazione di DRM ritenuti al tempo fondamentali.
Tutto ciò ha progressivamente svuotato le tasche delle case discografiche, impartendo loro una lezione sui tempi che passano. Ecco perché Taylor tiene a spiegare che l’online oggi contribuisce al 13% degli introiti di BPI, con una vasta gamma di nuovi modelli di business come Comes With Music. La via maestra potrebbe essere quella di una musica liquida , intesa non più come prodotto, ma come servizio. Sottoscrivere, in altre parole, un abbonamento insieme alla fornitura di connettività e dare ai detentori dei diritti la possibilità di scegliere il tipo di licenza.
È recente una dichiarazione di John Riccitiello, CEO di Electronic Arts che, a proposito dei 200mila download del gioco “The Sims 3”, ha sottolineato il bisogno di spostare il punto di vista di un gioco per computer dal “prodotto” al “servizio”. Utilizzare la versione scaricata per diffondere una demo, per poi arricchirla con altre città a disposizione, contenuti extra e community. Per la musica, altre soluzioni innovative cercasi.
Mauro Vecchio