Il delicato bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto a vivere sicuri appare più che mai irraggiungibile, nel momento in cui questa contrapposizione si riproduce nella contrapposizione delle istanze di stato e mercato: se anche l’industria ammicca alle masse dei propri utenti proponendo servizi inviolabili, volti a garantire privacy e comunicazioni cifrate, la politica ammicca agli elettori promettendo sorveglianza ubiqua, volta a garantire sicurezza e monitoraggio pervasivo delle minacce.
“Nel nostro paese vogliamo ammettere un mezzo di comunicazione che non si possa intercettare nemmeno in casi estremi, con un mandato firmato personalmente dal Ministro degli Interni?”: la domanda retorica del Premier britannico appare tutt’altro che tale. La risposta è naturalmente negativa per quella parte della società civile atterrita dalle minacce terroristiche, e dall’urgenza con cui i governi, soprattutto dopo l’attentato a Charlie Hebdo , si stanno prodigando per inasprire il proprio regime di sorveglianza. La risposta è naturalmente scontata per David Cameron, secondo cui “il primo dovere di ogni governo è quello di garantire la sicurezza del nostro paese e dei nostri cittadini”.
Ma i cittadini potrebbero non essere altrettanto convinti. Dopo lo scoperchiamento del vaso di Pandora del Datagate , e le conseguenti apprensioni degli utenti più consapevoli , alle istituzioni che hanno a cuore lo sviluppo della Rete hanno iniziato a fare eco le aziende IT, che si sono mosse per offrire la privacy che servizi di comunicazioni sicura di nicchia come Lavabit non hanno potuto garantire . Per citare solo qualche esempio, fra i colossi della tecnologia che si rivolgono a platee vastissime con i loro servizi, Apple e Google hanno scelto di cifrare di default i dati gestiti da iOS e Android, WhatsApp si è adoperata blindare con la crittografia le conversazioni di parte dei suoi 700 milioni di utenti, e sono numerosi i servizi che fanno un vanto della propria inviolabilità.
Se il diritto alla privacy è assurto ormai a claim promozionale per fare appello al malcontento dei cittadini nei confronti del tecnocontrollo, coloro che amministrano la macchina della sorveglianza non hanno esitato, nel corso degli ultimi mesi, a denunciare l’ irresponsabilità della cifratura : lo ha fatto l’FBI, lo ha fatto il GCHQ britannico, lo ha fatto di recente anche il capo dell’MI5, che ha ricordato che i terroristi “usano gli stessi strumenti di comunicazione che usiamo noi” e che “i canali oscuri in cui possono ordire trame ai nostri danni stanno aumentando”.
Proprio a questa parole pare essersi agganciato il Primo Ministro uscente David Cameron che, dopo anni trascorsi a ribadire la pericolosità della Rete , fa della sorveglianza uno slogan pre-elettrorale : “Se sarò di nuovo Primo Ministro – promette Cameron – mi assicurerò che ci sia un quadro normativo che non conceda ai terroristi degli spazi per comunicare al sicuro gli uni con gli altri”. Cameron si impegna a rispolverare una precedente proposta di legge , ancora più restrittiva di quella approvata di recente, con la quale sarà possibile accedere a tutti i dati e le comunicazioni generati dai cittadini. Non sono chiare le modalità con cui il governo potrà mettere in atto la manovra, né se le autorità mirino ad introdurre l’ obbligo di lasciare socchiusa una backdoor nel codice di ogni software per ottenere quello che non si riesce ad estrarre dal cittadino con il Regulation and Investigatory Powers Act (RIPA), né è possibile immaginare gli strumenti con cui una simile disposizione si possa far valere.
Per ora ” il bando di Snapchat e WhatsApp ” è solo un titolo ad effetto ad uso dei giornalisti e del loro pubblico. La società civile connessa, però, sta già manifestando il proprio dissenso: dagli attivisti di Open Right Group a quelli di Big Brother Watch , passando per Cory Doctorow , sottolineano i rischi connessi alle malcelate ambizioni di Cameron, che nel nome della sicurezza nazionale imporrebbero ai cittadini di rinunciare a proteggersi.
Gaia Bottà