I principali Internet Service Provider britannici, BT, Virgin, Sky e Talk Talk, hanno aderito ad una nuova iniziativa online che segue le pressioni di Downing Street per combattere in Rete la minaccia terroristica.
Non fossero bastati gli attentati dell’11 settembre 2011 e dell’7 luglio 2005, il Regno Unito ha riscoperto la paura del terrorismo con le minacce dell’ISIS: per quanto il gruppo islamico sia lontano, la copertura mediatica e soprattutto i video in cui compare un boia incappucciato con spiccato accento inglese hanno fatto sentire a Londra la paura. D’altronde, il Governo inglese non ha mai avuto la mano leggera nell’intervenire in Rete: è l’unico paese ad aver già un centro anti-terrorismo dedicato specificatamente ad Internet, che negli ultimi quattro anni ha portato alla rimozione di oltre 55mila contenuti risultati in violazione del Terrorism Act del 2006 , inoltre già in passato il Governo ha cercato di imporre più stringenti misure di controllo.
Anche a parole Downing Street non nasconde le sue intenzioni: da ultimo, il Primo Ministro David Cameron ha parlato al Parlamento australiano, ribadendo la necessità di coinvolgere i privati nella lotta per il controllo dei contenuti online .
L’ultima misura annunciata dagli ISP britannici è facilmente collegabile alla pressione che nelle settimane scorse GCHQ, l’agenzia di intelligence britannica, ha esercitato nei confronti degli operatori del settore: i privati – denunciava in un corsivo sul Financial Times il direttore del GCHQ – non possono essere cani sciolti neutrali perché finiscono inevitabilmente per ospitare “materiale dell’estremismo violento o dello sfruttamento di minori” e sono dei “facilitatori di crimine e terrorismo”.
BT, Virgin, Sky e Talk Talk si sono dunque ora impegnate ad ospitare un sistema di notifica pubblico per segnalare il materiale online a sfondo terroristico : si tratta un pulsante simile a quello già adottato per i contenuti pedopornografici.
Oltre a questo controllo ex-post affidato ai cittadini della Rete, inoltre, si sono impegnati a fare in modo che tale materiale sia individuato dai loro filtri per impedirne l’accesso ai più giovani: un annuncio che, presso gli attivisti di Open Rights Group , desta non poche preoccupazioni dal momento che la definizione di contenuti radicali chiama certamente in causa la libertà di espressione e la definizione di opinione comune. E che conseguentemente rischia di rappresentare uno strumento di censura.
Claudio Tamburrino