C’è un documento recentemente apparso in Rete, datato 8 gennaio 2010. Un documento piuttosto sintetico, sfuggito online alla British Phographic Industry (BPI), l’associazione che nel Regno Unito raccoglie centinaia di etichette tra cui EMI, Sony e Universal. Si intitola Digital Economy Bill: paragrafo 17 .
“BPI – si legge nel documento – è convinta che sia vitale, all’interno del Digital Economy Bill, la presenza di alcune predisposizioni per ridurre drasticamente la violazione online del copyright, attraverso ambienti sia di tipo P2P che di tipo non P2P”. Si sottolinea inoltre come l’industria discografica britannica abbia discusso a lungo innanzitutto con i fautori della contestata cura Mandelson al file sharing selvaggio.
E poi con i suoi principali oppositori, a partire – come hanno ipotizzato alcuni osservatori – dalla fazione dei liberal-democratici, già protagonisti di un vero e proprio pasticciaccio alla House of Lords . La proposta liberal-democratica, inizialmente contraria al paragrafo 17 del Digital Economy Bill , fornirebbe allo stato attuale all’autorità giudiziaria la possibilità di emanare un’ingiunzione nei confronti di tutti quei siti che si macchino di violazione del copyright. Per obbligare potenzialmente i server che li ospitano a tagliarli fuori dalla Rete.
Un regime legislativo piuttosto simile a quello proposto dalla stessa BPI nel documento dell’8 gennaio scorso. Una completa revisione del paragrafo 17 che dovrebbe formarsi a partire da due elementi chiave.
Il primo, basato su un emendamento del Copyright, Designs and Patent Act del 1988, l’attuale legge britannica sul diritto d’autore. Una nuova sezione 97B della legge, che dovrebbe introdurre proprio la possibilità di obbligare un ISP a bloccare l’accesso ai siti più negligenti , data una specifica richiesta da parte dei legittimi detentori dei diritti.
La nuova sezione 97B – nella visione di BPI – dovrebbe prevedere l’annullamento dell’ingiunzione qualora i responsabili del sito provvedano alla rimozione di tutti i contenuti risultati illeciti. Il secondo elemento chiave illustrato nel documento trafugato consisterebbe nell’assegnare al Segretario di Stato britannico il potere di rivedere la sezione , alla luce di eventuali cambiamenti nelle tecnologie a disposizione.
Rabbiosa la reazione dell’ Open Rights Group , che in un articolo apparso sul suo sito ufficiale ha duramente contestato il dietro le quinte rivelato dal documento. “È davvero inopportuno che proposte così fondamentali vengano discusse da maggioranza e opposizione dietro le richieste di uno solo delle parti in causa – si legge nell’articolo – Parliamo delle disconnessioni, introdotte da Lord Mandelson la scorsa estate all’ultimo minuto, dopo le evidenti pressioni di BPI e di altri detentori dei diritti”.
Mauro Vecchio