Il primo ministro britannico David Cameron riferisce che la notizia gli ha fatto andare la colazione di traverso: l’Unione Europea, con il voto del 27 ottobre , ha approvato disposizioni per tutelare la neutralità della Rete, regole che in linea di principio stabiliscono che i fornitori di accesso a Internet non debbano filtrare il traffico se non per tutelare la sicurezza e l’operatività dell’infrastruttura, se non per aderire alla disposizioni di legge. Un regime di eccezioni che spazza via il delicato equilibrio negoziato negli anni con i provider britannici, che si sono volontariamente rassegnati ad innescare un sistema di filtri per confinare la pornografia online oltre una esplicita richiesta di accesso.
Il sistema di parental control di stato, dopo un primo fallimento incassato nel 2012 a seguito di una prima implementazione basata su un sistema di autoregolamentazione fortemente voluto dal Premier, si è dispiegato progressivamente alla fine del 2013 .
Cameron si è imposto sulle perplessità dei provider , restii a farsi carico di gestire una lista nera di siti pornografici accessibili solo su esplicita richiesta dell’utente , e costretto i cittadini più disinibiti ad adeguarsi ad una rete castrata di default. Prevedibilmente – era già avvenuto con la sperimentazione portata avanti anni fa in Australia – la lista nera dei siti accessibili solo agli utenti che si dichiarino esplicitamente pornomani inoltrando al proprio ISP la richiesta di navigare una Rete non filtrata, si è nutrita di falsi positivi e di domini affatto immorali. Ciò non è bastato a dissuadere Cameron, che ha anzi rilanciato il proprio sogno di moralizzare la Rete scaricando sui privati il compito di trovare altre soluzioni, ancora più efficaci.
A far incagliare il piano britannico, insieme alla colazione nel gargarozzo di Cameron, la votazione del Parlamento Europeo sul Pacchetto Telecomunicazioni: il testo , ritenuto da molti osservatori troppo vago per assicurare ai netizen europei una Rete senza corsie preferenziali, dispone però che le “misure di gestione del traffico” siano “trasparenti, non discriminatorie e proporzionate” e che non agiscano controllando “contenuti specifici”. Possono essere impiegate “solo per il tempo necessario” a “preservare l’integrità e la sicurezza della rete, dei servizi prestati tramite tale rete e delle apparecchiature terminali degli utenti finali”, a “prevenire un’imminente congestione della rete o mitigare gli effetti di una congestione della rete eccezionale o temporanea” o a “conformarsi ad atti legislativi dell’Unione o alla normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione, cui il fornitore di servizi di accesso a internet è soggetto, o alle misure conformi al diritto dell’Unione che danno attuazione a tali atti legislativi dell’Unione o a tale normativa nazionale, compreso ai provvedimenti giudiziari o di autorità pubbliche investite di poteri pertinenti”.
Il parental control di stato non è delineato in alcun testo di legge , ma è un semplice sistema di autoregolamentazione, ritenuto evidentemente la via più semplice per perseguire un intento che con la legge stessa avrebbe potuto cozzare. Ingollata la colazione, Cameron si è mostrato risoluto presso il Palazzo di Westminster: “legifereremo per fare in modo che l’accordo con le internet company sia legge del paese, così da proteggere i nostri bambini”.
Open Rights Group, che da tempo porta avanti una battaglia per dimostrare l’inadeguatezza dei pornofiltri, ha accolto sorniona la sortita del Primo Ministro: potrare avanti la crociata del parental control di stato nell’ufficialità di un iter legislativo offrirà finalmente “l’opportunità di creare un dibattito a proposito dei filtri, che sono inadeguati, censurano i siti e non necessariamente contribuiscono alla sicurezza dei bambini online”.
Gaia Bottà