“Non ci sono giustificazioni per questo graduale ma incessante strisciare verso l’accumulazione e l’accanimento da parte dello stato nei confronti di ogni singolo dettaglio che riguarda il cittadino”: così Lord Goodlad, a capo della commissione incaricata di tracciare un panorama dello stato della privacy nel Regno Unito, ha presentato il documento di fronte alle autorità. Tecnologie di sorveglianza e database, armi spuntate brandite nel nome della sicurezza, rischiano di attentare alla spontaneità del cittadino.
Abusi di dati e falle nei sistema di sicurezza a presidio dei database, rastrellamento del DNA e cam di sorveglianza troppo occhiute: il report Surveillance: Citizens and the State rilasciato dalla Constitution Committee della House of Lords ha posto sulla bilancia diritto alla privacy e diritto a vivere sicuri . Il Regno Unito, denunciano i Lord, sbaglia l’equazione.
Le istituzioni, si spiega nel report, sembrano voler moltiplicare le misure di sorveglianza sconfinando nella vita privata del cittadino. Cittadino che con la sensazione di essere sottoposto ad un monitoraggio che i Lord definiscono “pervasivo e routinario”, non potrà che rassegnarsi ed appiattirsi ad un’ irreprensibilità coatta . Sono oltre 4 milioni le cam che vigilano sulla quotidianità , sono 500 i milioni di sterline investiti dal Regno nella sorveglianza a circuito chiuso. A tessere le lodi dei sistemi di sorveglianza sono forze dell’ordine prone agli abusi . Le autorità domandano indagini serie che sappiano riequilibrare il dispiegamento di tecnologie con il diritto dei cittadini a non vivere sotto l’occhio di una cam.
I Lord si concentrano altresì sulla raccolta di campioni di DNA : nonostante il pronunciamento della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, il Regno Unito continua a vantare il primato del database più sconfinato. Poco importa di che crimine si siano macchiati, poco importa se si sono dimostrati innocenti in seguito ad un processo: il Regno Unito detiene in archivio campioni del 7 per cento dei suoi cittadini. I Lord chiedono la rimozione dei campioni di coloro che sono stati assolti: “Crediamo – scrivono nel documento – che i profili del DNA debbano essere conservati nel database nazionale solo quando si può dimostrare che tale conservazione è giustificata”.
Le falle nei sistemi di sicurezza, si spiega inoltre nel documento, sono troppo vaste e troppo frequenti: dati personali dei cittadini custoditi in dispositivi di archiviazione vengono disseminati per il Regno , perduti in una ipertrofica burocrazia e sfuggiti dalle mani di dipendenti distratti. La Commissione chiede una maggiore vigilanza e delle sanzioni deterrenti nei confronti dei dipendenti che mettono a rischio i dati dei cittadini. Propone inoltre di introdurre l’ obbligo di cifratura , nel tentativo di limitare i danni.
Blindare i dati personali dei cittadini fa parte delle raccomandazioni emesse dai Lord: sembra inevitabile che le autorità ritornino sui propri passi e allentino la morsa della sorveglianza. Il Regno Unito sta marciando con risolutezza verso l’introduzione delle carte d’identità biometriche , che conterranno le impronte digitali del cittadino. Sta investendo nel progetto 4,7 miliardi di sterline, oltre 5 miliardi di euro, l’implementazione sta procedendo a ranghi serrati e nei prossimi mesi volontari e certe categorie di lavoratori otterranno i nuovi documenti. Ma lo stato non ha pensato a dotarsi di alcun lettore che possa verificare quanto contenuto nel chippetto del documento e possa dunque confrontarlo con il database delle identità. A leggere quanto archiviato nei documenti biometrici rischiano di essere solo coloro che si adoperano in maniera autonoma e con intenti non sempre dimostrativi.
“Negli scorsi 7 anni – denuncia Shami Chakrabarti, a capo dell’associazione per i diritti del cittadino Liberty – ci è stato detto che chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere, ma il ritmo incessante con cui avvengono fughe di dati e abusi di potere ci suggerisce che anche gli innocenti da temere hanno molto”.
Gaia Bottà