Già sospeso e rimandato al 2015, il piano legislativo noto come Digital Economy Act (DEA) fatica ad entrare in azione contro gli scariconi di Internet. Mentre il governo di Londra prende tempo tra le critiche, i vertici della British Phonographic Industry (BPI) sembrano aver perso la pazienza a fronte dei quasi 300 milioni di brani musicali scaricati illegalmente tra la fine del 2012 e gli inizi di quest’anno.
Insieme alla British Video Association (BVA), i discografici d’Albione hanno instaurato un filo diretto con i principali provider del paese, per convincere grandi operatori come Virgin Media e BSkyB ad avviare in maniera volontaria le pratiche dell’ enforcement nel Regno Unito. L’esempio pratico viene dagli Stati Uniti, dove l’ultima eredità della cyber-zarina Victoria Espinel ha introdotto il sistema dei six strikes sul modello della fallimentare Dottrina Sarkozy.
In sostanza, ai singoli provider toccherebbe il compito di identificare gli abbonati pirata per il conseguente invio di avvisi graduali che segnalino le attività di violazione del copyright online . Un sistema che diventerebbe certamente complesso da organizzare senza l’istituzione di un centro ad hoc come HADOPI (in Francia) o il nuovo Center for Copyright Information (CCI) aperto negli Stati Uniti per gestire gli allarmi del diritto d’autore.
I vari operatori britannici non sembrano affatto convinti della proposta delle grandi etichette, definita “impraticabile” dai responsabili di Virgin Media. Da tempo tra i più combattivi per la tutela dei suoi abbonati, TalkTalk ha aperto ad un possibile accordo con i legittimi detentori dei diritti, ma mai nel mancato rispetto della privacy e in generale dei diritti fondamentali degli utenti .
Mauro Vecchio