Insinuarsi fra provider e netizen, fagocitare le abitudini online dei cittadini della rete, ruminarle e risputarle sotto forma di consigli per gli acquisti è perfettamente legale. A patto che tutti vengano informati del meccanismo e che a tutti venga concessa l’opportunità si scegliere se diventare ingranaggi del grande gioco della nuova pubblicità telematica . Phorm è stato sdoganato dalla autorità del Regno Unito: non viola le direttive europee in materia di privacy. A dichiararlo è il governo britannico attraverso il Department for Business, Enterprise and Regulatory Reform ( BERR ).
Erano tre, British Telecom, Virgin Media e Carphone Warehouse, i provider che si erano dimostrati interessati a coinvolgere i propri utenti nel giochino, a vendere agli inserzionisti uno spazio di osservazione privilegiato sui comportamenti dei netizen. Phorm avrebbe pensato ad agire da raccordo: se l’utente avesse concesso il proprio consenso, l’azienda avrebbe intercettato i tracciati di navigazione in cambio di quella che veniva definita un’esperienza online sicura e personalizzata.
Da più fronti erano giunte le scomuniche: si erano espresse le associazioni a difesa del diritto alla riservatezza dei cittadini, che avevano definito Phorm come uno strumento di intercettazione; gli esperti di sicurezza avevano bollato il sistema come eccessivamente intrusivo, in quanto avrebbe racimolato anche dati relativi agli utenti che non avessero aderito alla sperimentazione. Uno dei pilastri del Web, Tim Berners-Lee, aveva dichiarato la propria contrarietà nei confronti di Phorm, sottolineando come i sistemi di bahavioral advertising facciano leva sui provider, allettandoli affinché rinuncino al proprio ruolo di inerti fornitori di un servizio di connettività e si trasformino in somministratori di spot.
Mentre infuriavano dubbi e polemiche, era emerso un documento dalla portata dirompente: testimoniava come in gran segreto British Telecom avesse iniziato a collaborare con l’antesignano di Phorm ancora nel 2006. Il provider già allora sondava le abitudini degli utenti senza che le cavie potessero spiegarsi perché gli annunci pubblicitari che vedevano comparire online aderissero a tal punto ai propri interessi. L’Unione Europea si era così messa in moto con una serie di sollecitazioni e di avvertimenti con cui intimava alle autorità del Regno Unito di verificare la liceità del meccanismo di Phorm , di offrire una spiegazione alla sperimentazione condotta da British Telecom all’insaputa dei netizen, di tracciare un quadro per il prossimo futuro, quando le tecnologie per il behavioral advertising potrebbero presidiare ogni connessione.
ICO, il garante della privacy locale, aveva espresso la propria opinione in maniera tiepida, aveva dimostrato di non volersi occupare della questione . Anche l’Home Office aveva temperato l’apprensione dei cittadini: l’equilibrio tra le spinte del mercato e la riservatezza dei cittadini si sarebbe dovuto cercare nella legge.
Ora, la risposta ufficiale alle richieste formulate dalla autorità UE: “Dopo aver condotto indagini su Phorm – spiega BERR in una lettera indirizzata all’Unione Europea, solo parzialmente diffusa – le autorità del Regno Unito ritengono che i prodotti di Phorm possano essere sfruttati nel rispetto della legge, in maniera appropriata e trasparente”. La legalità del servizio di behavioral advertising, assicurano da BERR, si fonderebbe sul fatto che ad ogni utente viene assegnata un’ identità numerica che non può ricondurre alle generalità del sottoscrittore dell’abbonamento Internet, e sul fatto che non vengano conservati i tracciati delle sessioni online. Phorm, inoltre, “garantisce” di interrompere la sorveglianza e la fornitura di pubblicità ad hoc nel momento in cui il netizen si rivolge alla rete per rintracciare informazioni che riguardino strettamente la propria vita privata.
Il fatto poi che Phorm informi gli utenti , che conceda loro la possibilità di scegliere consapevolmente se fruire del servizio , mette al sicuro l’azienda da qualsivoglia violazione. È fondamentale, sottolinea BERR, che Phorm agisca solo se il consumatore è informato e ha dato il proprio consenso. Le autorità però, nei frammenti di documento che sono trapelati, non hanno speso alcuna parola nei confronti del comportamento assunto da British Telecom e da Phorm negli scorsi anni, quando la sperimentazione è passata sotto silenzio. Né si dice alcunché sul fatto che il consenso a Phorm potrebbe essere contenuto sotto forma di clausola all’interno di un contratto di abbonamento, contratto che spesso e volentieri non viene nemmeno letto da chi lo firma.
Mentre Phorm annuncia incoraggianti progressi seguiti alle sperimentazioni, il Congresso USA sta sviscerando i meccanismi che si celano nei sistemi di behavioral advertising che stanno attecchendo oltreoceano. Se le autorità del Regno Unito sembrano intenzionate a garantire carta bianca ai servizi che si frappongono fra utenti e provider, le autorità UE dichiarano di non voler rinunciare a investigare.
Gaia Bottà