Dear Lord Peter Mandelson . A questo esordio avrà ormai fatto l’abitudine il Segretario di Stato del Regno Unito, dopo aver proposto con vigore la tecnica delle disconnessioni per combattere il file sharing selvaggio in terra britannica. Così iniziava l’aspra lettera-canzone firmata dal rapper Dan Bull e così inizia una lettera aperta recapitata a Mandelson proprio nel giorno in cui il disegno di legge sull’economia digitale ( Digital Economy Bill ) è stato sottoposto alla seconda lettura alla Camera dei Lord.
Una missiva sintetica, ma che ha spiegato accuratamente i potenziali rischi derivanti in particolare dal paragrafo 17 dello stesso disegno di legge . A firmarla, i quattro responsabili delle policy delle divisioni relative a Europa e Regno Unito di quattro grandi protagonisti della Rete attuale: eBay, Facebook, Yahoo! e Google. Una lettera aperta, dunque, che ha espresso gravi preoccupazioni per misure che rischierebbero di soffocare l’innovazione tecnologica e danneggiare la visione dello stesso governo britannico già illustrata con il progetto Digital Britain .
Le quattro aziende della Rete hanno avuto cura di assicurare a Mandelson che non si tratta di una presa di posizione contro il copyright. “Un rispetto condiviso del diritto d’autore è ovviamente una chiave di volta”, c’è scritto nella lettera. Il nucleo di quest’ultima, tuttavia, pulsa da un’altra parte. Il paragrafo 17 del Digital Economy Bill garantirebbe a qualsiasi Segretario di Stato britannico (presente e futuro) un potere senza precedenti: introdurre modifiche arbitrarie e sostanziali al Copyright, Design and Patent Act del 1988, ovvero la legge che in terra d’Albione tutela il diritto d’autore.
“Questo potere – si legge nella lettera – potrebbe essere utilizzato ad esempio per introdurre misure tecniche addizionali o per aumentare il livello di sorveglianza dei dati degli utenti, anche nel momento in cui non esistano attività illegali da parte loro”. Si tratterebbe, sempre stando alle quattro web company , di misure che limiterebbero l’uso legittimo della Rete, introducendo costi non necessari e soffocando nuovi modelli di business a supporto di nuovi contenuti creativi.
Una risposta da parte del governo è arrivata, anche se non sulle labbra di Peter Mandelson. “La legge deve mantenere il passo delle tecnologie – ha commentato un portavoce del Department for Business, Innovation and Skills – in modo che le autorità possano reagire nel momento in cui emergano nuove forme di seria violazione del copyright”. Intanto, alla lettera dei quattro dirigenti si è aggiunta una petizione online pubblicata sul sito ufficiale del Prime Minister’s Office . Organizzata dal provider britannico TalkTalk, scadrà il 20 ottobre 2010 e attualmente conta quasi 30mila firme per chiedere ai membri del parlamento di bocciare l’idea di disconnettere i netizen.
Il vento di protesta sembra aver passato lo stretto della Manica, scendendo giù in terra iberica. Le autorità spagnole avevano proposto una modifica sostanziale alla legge 32/2002 sui servizi della società dell’informazione. Ovvero una quinta condizione da aggiungere a quelle già previste, a giustificare il blocco di un sito web con la tutela della proprietà intellettuale. Un gruppo di giornalisti, blogger e professionisti di vari ambiti ha espresso il proprio dissenso attraverso un manifesto in dieci punti , contro le previsioni del disegno di legge sull’economia sostenibile che dovranno essere discusse nel Congreso spagnolo.
Il copyright, stando al primo punto del manifesto, non dovrebbe essere mai anteposto ai diritti fondamentali dei cittadini, come quello alla privacy, alla sicurezza e soprattutto alla presunzione di innocenza. Solo un giudice, infatti, potrebbe stabilire la sospensione di un diritto come la libertà di espressione (in questo caso a mezzo web). Il manifesto spagnolo – diffuso anche tramite un gruppo su Facebook – ha parlato inoltre di modifiche che andrebbero a minare i principi di neutralità della Rete oltre che a dimostrare quanto l’industria della cultura abbia bisogno di adattarsi a pratiche sociali del tutto nuove.
Tra le modifiche proposte dalle autorità spagnole, l’inclusione dei link al P2P nell’insieme degli spazi web da chiudere per violazione del copyright. Proprio recentemente, una corte iberica ha ribaltato una precedente sentenza a favore di SGAE (la SIAE spagnola) che aveva ordinato nello scorso aprile la chiusura dei link raccolti da Elitelmula ed Etmusica . Ora, la corte ha deciso che un hyperlink non costituisce da solo una violazione del diritto d’autore, ordinando la riapertura dei due siti. La modifica alla legge 32/2002 potrebbe trasformare decisioni come queste in un pallido ricordo.
Mauro Vecchio