Se la pirateria non si può battere, tanto vale che i provider comincino a pagare per quanti usano il servizio a fini di condivisione non autorizzata. È l’idea di una tassa sul P2P , già emersa molte altre volte negli anni passati , recentemente proposta da Will Page, “economista” impiegato presso l’organizzazione inglese che raccoglie i proventi del diritto d’autore per l’industria musicale, Performing Rights Society .
Nello studio chiamato Moving Digital Britain Forward Without Leaving Creative Britain Behind , Page e colleghi si sono impegnati nell’individuare “soluzioni basate sul mercato” al problema della pirateria telematica, e più nello specifico al “danno causato dal file sharing illegale su Internet”. Tra le soluzioni proposte c’è appunto una tassa sui provider, individuati come i “colpevoli” di questo stato di cose e chiamati a un contributo responsabile alla sua soluzione o mitigazione.
Page fa riferimento diretto al discusso Digital Economy Act , la legge anglosassone approvata in fretta e furia dal parlamento che prevede le disconnessioni forzate dei condivisori incalliti e la misurazione del traffico effettivo imputabile al file sharing sulla Internet britannica. Da tali misurazioni si potrebbe partire per valutare il coinvolgimento specifico di ogni ISP , ipotizza l’economista al soldo delle major, per poi imporre un balzello in proporzione a tale coinvolgimento.
La proposta di Page non tiene in conto la difficoltà di stabilire l’esatta valenza del P2P sul traffico di rete, né considera tantomeno le molte alternative al P2P sulle reti di sharing salite alla ribalta in questi mesi e anni (streaming, file hosting su server HTTP eccetera).
Ma soprattutto le proposte di Page non tengono conto delle notevoli conseguenze di una simile iniziativa sul diritto alla riservatezza e il comportamento dei provider nei confronti dei loro stessi clienti. Non a caso l’ISP Talk Talk parla di una pratica “profondamente iniqua” che “richiederebbe il monitoraggio del traffico con pesanti implicazioni in merito alle direttive sulla privacy e la data retention”.
Tassare i provider per i download di una parte dell’intera utenza è “come dichiarare una società di autobus responsabile per i taccheggiatori che usano i suoi mezzi per andare nei negozi”, e sarebbe tanto più “futile perché le persone passeranno a metodi irrintracciabili come i servizi cifrati e lo streaming”. L’industria musicale dovrebbe piuttosto inventarsi nuovi modelli di business “sostenibili” e ascoltare quello che vogliono i consumatori, suggerisce Talk Talk, invece di pensare alle disconnessioni e alle tasse improprie sui provider.
Di futilità e perdita di tempo ha recentemente parlato anche Peter Jenner, ex-manager dei Pink Floyd che non vede di buon occhio nessuna delle misure attuate o ipotizzate per “impedire alle persone di copiare”. “Il costo marginale di un file digitale è essenzialmente zero – ha detto Jenner – Il che vuol dire che il mercato verrà spinto verso file digitali a costo zero. Si tratta di un fatto inevitabile”. Lottare contro la “pirateria”? Per Jenner significa “andare controcorrente, lottare contro la realtà economica dei fatti”. Con tanta buona fortuna agli economisti di PRS.
Alfonso Maruccia