I fornitori di connettività mobile del Regno Unito hanno stabilito che The Pirate Bay possa offendere la sensibilità dei cittadini della rete: per questo motivo il sito è ora stato inserito in una lista nera, inaccessibile di default agli utenti dei provider che vi si basano.
Impossibile accedere all’interfaccia della Baia, un messaggio che invita i netizen ad approfondire sul sito di Internet Watch Foundation ( IWF ), l’organizzazione che nel Regno Unito gestisce e trasmette agli ISP la lista delle pagine illegali che i provider si sono accordati per filtrare. Una manciata di operatori mobili, si spiega nel messaggio, ha messo in campo un nuovo codice di condotta : si fonda su “un sistema di sbarramento e di filtering per limitare l’accesso a siti WAP e siti Internet che siano classificati come adatti ai maggiori di 18 anni”. Nella categoria dei contenuti adatti al solo pubblico adulto rientrerebbero la pornografia, i prontuari dedicati all’hacking e allo sviluppo di non meglio precisate “abilità criminali”.
All’indomani della sentenza fatta calare sulla Baia dal tribunale distrettuale di Stoccolma, le speculazioni si sono affollate: The Pirate Bay è da tempo nel mirino di un’industria dei contenuti che vorrebbe imporre ai provider di tagliarla fuori dalla rete. È successo in Irlanda e in Danimarca , in Italia ai provider per giorni è stato imposto di sequestrare il traffico di coloro che volessero approdare alla Baia. Per questo motivo c’è chi ha ipotizzato che IWF o i fornitori di connettività del Regno Unito stessero agendo per prevenire rappresaglie da parte di un’industria che avrebbe potuto fare pressione su di loro.
Ma IWF, protagonista in passato di maldestre operazioni di filtering, si dichiara estranea ai fatti: il codice di condotta è ospitato sulle proprie pagine a puro titolo informativo. In questo caso sono i provider a compilare e gestire la lista.
Il blocco di The Pirate Bay non sarebbe da imputare a motivazioni legate alla tutela del diritto d’autore. I provider hanno agito per scelta , si stanno attenendo a un codice di condotta adottato autonomamente, al solo scopo di offrire ai loro utenti una rete epurata dai contenuti ritenuti sconvenienti a cui The Pirate Bay agevolerebbe l’accesso. Chi ritenesse preferibile fruire di una rete senza blocchi, non avrebbe che da chiedere l’opt out.
Chi per scelta, chi per imposizione. Se nel Regno Unito sono i provider ad agire sul libero arbitrio dei netizen, a Taiwan sono le autorità ad obbligare gli ISP al filtraggio. Un emendamento in via di approvazione alla legge locale che tutela il copyright, oltre ad avallare un sistema di risposta graduale allo scambio di contenuti illegali, sembrerebbe poter imporre agli ISP di rendere inaccessibili ai netizen i siti che l’industria segnala come in violazione dei propri diritti.
Gaia Bottà