Londra – È un’animalista la prima cittadina del Regno Unito a trovarsi di fronte alla scelta imposta dalla sezione 49 del famigerato Regulation of Investigatory Powers Act ( RIPA ). Dovrà rivelare la chiave con cui ha cifrato dei documenti, abdicare alla sua riservatezza ed eventualmente giustificarsi davanti alle autorità per il contenuto del file. Oppure dovrà lasciarsi accompagnare dietro le sbarre.
A raccontare la sua storia, segnala The Register , è la stessa attivista: in maniera anonima si è rivolta ad Indymedia per rendere pubblico il caso e per mobilitare quanti condividano con lei il timore che lo Stato possa liberamente attentare alla privacy dei cittadini .
La richiesta delle forze dell’ordine giunge per raccomandata. Nella missiva si spiega alla donna che sul suo computer sono stati rinvenuti dei file cifrati che le forze dell’ordine ritengono di dover visionare. C’è il ragionevole sospetto che l’analisi del loro contenuto possa aiutare a prevenire o individuare un atto criminale .
“Sono stata invitata (che carino, mi aspetteranno con tè e pasticcini?) a rivelare le mie key alla polizia, così che possano visionare questi file. Se non ubbidissi e se gli dicessi di tenere il loro grossi nasi fuori dai miei affari privati sarei punibile sulla base del RIPA”. Entro dodici giorni l’attivista dovrà scegliere se fornire la password per accedere ai documenti oppure scontare due anni di carcere , cinque anni nel caso sia sospettata di essere una terrorista.
A rendere la questione ancora più spinosa e controversa ci sono diversi elementi.
Il computer della donna è stato sequestrato dalla polizia nello scorso maggio. L’applicazione del RIPA, divenuto legge ad ottobre, sarebbe dunque retroattiva .
In più, la donna dichiara di non essere mai venuta a contatto con strumenti per la cifratura come PGP : “troppo complessi per un’ottusa come me”. Il punto quindi non è rischiare di dover abdicare alla propria privacy o di essere condannata al carcere per aver usato la crittografia ma, secondo la donna, il punto è rischiare di essere punita perché altri hanno usato PGP al posto suo.
Come se non bastasse, la richiesta formale recapitata alla donna sembra denotare una certa confusione nell’applicazione della legge . All’attivista si intima di consegnare una key per decifrare i documenti. La sezione 49 del RIPA prevede invece che il destinatario della richiesta possa trarsi d’impaccio semplicemente fornendo alle autorità i documenti decifrati . Una password si dimentica facilmente: è impresa meno ardua recuperare il documento qualora fosse stato archiviato in chiaro su altri supporti.
Ma la donna non si sarebbe comunque piegata alle richieste delle autorità. Anche nel caso in cui avesse crittografato i suoi file, anche nel caso in cui le richieste fossero state formulate come prevede la legge. “Come potrei desiderare che qualcuno curiosasse nella mia vita privata e poi magari girasse ad un tribunale le comunicazioni private con il mio avvocato? O che qualcuno curiosasse tra le informazioni sulla mia salute, fra le poesie che non farei mai leggere a nessuno, fra le più sdolcinate lettere d’amore o addirittura fra le mie transazioni finanziarie?”
È per questo motivo che l’animalista invita tutti i cittadini inglesi ad una mobilitazione che faccia emergere l’assurdità della sezione 49 del RIPA: redigete dei documenti privi di senso, salvateli su ogni PC che usate, cifrateli, e attirate l’attenzione delle forze dell’ordine.
Gaia Bottà