Londra – Nel Regno Unito la pratica del controllo a mezzo tecnologia non solo è pervasiva , ma sta iniziando a contaminare le abitudini dei cittadini, ai quali viene offerta la possibilità di esercitare una sempre più stretta vigilanza sui propri figli, sul tempo che trascorrono fuori casa e online.
Primo dispositivo da aggiungere alla cassetta degli attrezzi dei genitori apprensivi: modulo GPS per la localizzazione dei figli , analogo al telefonino studiato per non perdere di vista bimbi olandesi e americani e agli innumerevoli dispositivi per l’affettuoso tracciamento tecnologico made in Japan .
Il servizio BlueRanger , segnalato tra gli altri da Vnunet , assicura di localizzare il portatore con un errore massimo di quattro metri e di trasmettere la posizione al server centrale del gestore del servizio, sfruttando la rete per la telefonia cellulare. Il servizio è offerto da Blue Tree Services ad una cifra abbordabile, circa trenta euro al mese, e promette ai genitori di “garantire ai figli la libertà di cui necessitano, senza rinunciare a gestire la loro indipendenza”. Consente di agganciare i minori a guinzagli infinitamente lunghi ma retrattili: basta che i genitori accedano al sito dedicato per individuare il loro puntino pargolo in movimento su una Google map, o sulla corrispondente foto scattata dai satelliti di Google Earth.
Ma non solo: il pacchetto completo BlueRanger offre ai figli monitorati la possibilità di lanciare un allarme , per essere localizzati ovunque si trovino e sventare situazioni di pericolo. Questa versione di BlueRanger consente inoltre ai genitori di tracciare dei confini che i figli non possono varcare senza che il dispositivo allerti i genitori.
Blue Tree Services offre inoltre suggerimenti alle famiglie inglesi: rendere la sorveglianza meno invasiva, nascondendo il modulo GPS in borse e orsi di pezza, pur ricordando che, a differenza di quanto è avvenuto in un istituto americano , il tracciamento è lecito solo nel momento in cui è consensuale . I compromessi sono la chiave per ottenere il consenso: l’azienda suggerisce, ad esempio, di offrire ai figli più grandi l’uso dell’automobile in cambio della promessa di portare con sé il dispositivo di tracciamento, in modo che la famiglia possa assicurarsi che il neopatentato non esageri nello spingere sul pedale. E se il figlio decidesse di sbarazzarsi del dispositivo per sottrarsi allo sguardo dei genitori mediato dalla tecnologia? Le spy story insegnano: sarà necessario gettare il modulo sul camion che corre sotto il cavalcavia, in quanto BlueRanger lancia un’allerta anche nel caso in cui non percepisca alcun movimento.
Adatto a vigilare sulla vita online dei figli (senza rinunciare al controllo di dipendenti e di scolari ) è invece il secondo strumento presentato da Vnunet , Responsible Surfing . Realizzato da psicologi esperti nell’individuare i segnali di ogni tipo di dipendenza, da quella sviluppata nei confronti di Internet a quella che conduce al gaming compulsivo, scaturito dallo studio approfondito dei comportamenti dei cosiddetti sexual predator , Responsible Surfing permette ai genitori di abbandonare i figli davanti allo schermo con tranquillità.
La famiglia può scegliere di bloccare ai minori l’accesso a siti potenzialmente pericolosi, ai contenuti pornografici, violenti o illegali che offre la Rete, posizionando a valle della connessione filtri basati su parole chiave . Filtri che, se si dimostrassero efficaci, renderebbero superflui provvedimenti come l’ incostituzionale Child Protection Safety Act americano o l’ ampiamente discussa normativa italiana varata a gennaio .
I genitori possono inoltre controllare e regolare la dieta mediatica dei ragazzi, limitando l’utilizzo di programmi di messaggistica istantanea, di videogiochi e la visione di film. Potranno poi assicurarsi che i figli non comunichino a terzi i loro dati personali: sarà un keylogger a vigilare sui testi digitati, testi che verranno bloccati prima di essere trasmessi a mezzo email o chat, non senza allertare la famiglia con un SMS.
Anche nel caso di Responsible Surfing , è d’obbligo informare i figli e strappare loro il consenso. Un’operazione presumibilmente agevole per le famiglie, convalidata da contratti prestampati da stipulare con i pargoli, la cui firma suggella un impegno a rispettare volontariamente le regole, come se la vigilanza tecnologica operata dai genitori fosse superflua.
Quello operato a mezzo della tecnologia è solo all’apparenza un controllo familiare meno insistente rispetto ai tradizionali rimproveri e alle minacce di punizione: la diligenza dei figli rischia di passare per lo sguardo freddo e deterrente di un panopticon digitale, invece che per una responsabilizzazione fatta di dialogo, di battibecchi e compromessi. Un modo di crescere che si auspica non abitui i ragazzi a vivere in una società dominata dal rischio, in cui l’obbedienza indiscriminata non rappresenta una scelta ma una condizione d’esistenza.
Gaia Bottà