La polizia inglese ha sequestrato diverse componenti per realizzare una pistola in plastica grazie all’uso di una stampante 3D, e un uomo è stato fermato con l’accusa di aver prodotto una polvere da sparo speciale per la nuova arma. Con la scoperta effettuata a Baguley, sobborgo di Manchester, i poliziotti d’oltremanica sferrano così un duro colpo al crimine organizzato, che guarda con sempre maggiore interesse ai rischi tesi dagli sviluppi delle stampe tridimensionali .
Poche ore dopo l’operazione, l’ispettore della Greater Manchester Police Chris Mossop ha chiarito la portata del ritrovamento dichiarando che “la scoperta fatta è molto significativa e dimostra come i gruppi criminali organizzati siamo già attivi con questa tecnologia”. Vicino a lui c’era Peter Fahey, capo della polizia locale, che ha fornito dettagli importanti sui potenziali pericoli relativi all’uso di queste armi: “In teoria questa tecnologia consente di produrre armi costruendo il modello preferito nella massima segretezza all’interno della propria casa, quindi per esempio chiunque potrebbe creare una pistola e poi rivenderla agli interessati”. Una prospettiva pessima, che incute timore se si considera che “si tratta di strumenti in plastica, in grado cioè di essere facilmente nascondibili poiché evitano il rilevamento ai raggi X”. Un quadro oscuro cui rimedia l’azione della polizia, con Fahey che invita all’ottimismo, sicuro che i buoni “vinceranno la battaglia perché non siamo davanti a gente più intelligente di noi, ma solo più violenta”. Insomma non bisogna essere poi così preoccupati, la polizia britannica è sempre impeccabile. O almeno, quasi sempre.
Con la notizia che ha fatto rapidamente il giro del globo, ben presto sono sorti alcuni interrogativi. Mentre l’uomo arrestato si è detto innocente sostenendo che le sue intenzioni non avevano nulla a che spartire con la produzione di una pistola, le immagini delle componenti sotto inchiesta hanno disegnato uno scenario diverso da quello intuito dalla polizia.
Per Brian Derby, docente di scienze dell’Università di Manchester, la stampante sequestrata sembrava una tipica macchina di un appassionato che, sebbene potesse in alcune delle sue parti ricordare una pistola, non avrebbe mai funzionato come tale. Ancora più netto Scott Crawford, proprietario della azienda Revolv 3D, secondo cui era evidente che si trattasse di materiale comune per chi conosce le stampanti tridimensionali, molto probabilmente utile per effettuare un aggiornamento.
Ulteriori spunti sono giunti da un utente di The Verge che, commentando la situazione, ha dimostrato come le parti incriminate rappresentino in realtà pezzi di ricambio della stampante: nello specifico, da ex proprietario delle stesse macchine, ha spiegato che le componenti incriminate sono pezzi di Replicator 2 e di MakerBot, garantendo che tali strumenti sarebbero letali sono se ingoiati.
Con l’aumentare dei dubbi, la pressione dei media e l’imbarazzo per l’errore, la polizia inglese ha rilasciato una nota congiunta per bocca di Steve Heywood, braccio destro del capo di cui sopra: “In questo momento tutto il materiale è sotto il vaglio di alcuni esperti per comprenderne la natura, quindi per ora non è chiaro se possa essere utilizzato per realizzare una pistola 3D. A prescindere da questo, però, solo l’idea di costruire un’arma in casa è inquietante ed è importante, perciò, aprire un dibattito su questa minaccia emergente”.
In attesa del responso, l’uomo arrestato è stato rilasciato. Al di là del più che probabile flop della polizia inglese, però, resta la necessità di regolamentare il fenomeno, diventato di dominio pubblico già dopo la Liberator creata negli States da Cody Wilson , pioniere della stampa 3D piegata alla causa delle armi.
Alessio Caprodossi