Privacy International (PI) ha reso pubblici gli effetti dell’ultima decisione emessa dall’Investigatory Powers Tribunal (IPT), organismo giudiziario con potere sanzionatorio nei confronti delle varie agenzie di spionaggio britanniche che nel caso in oggetto ha confermato quanto era già noto da tempo: le spie del GCHQ hanno effettuato “raccolte di massa” di dati e comunicazioni digitali violando la legge e la privacy dei cittadini del Regno Unito e non solo.
Il piano di intercettazione di massa in UK (Bulk Communications Data o BCD) era già emerso negli anni scorsi grazie ai documenti forniti da Edward Snowden, con GCHQ impegnata ad ammassare enormi dataset contenenti informazioni personali, dettagli sulle comunicazioni digitali (e via cellulare) e tutto quanto in un periodo che va dal 1998 al 2015.
Tale raccolta è avvenuta in palese violazione dell’Articolo 8 della Convenzione europea sui Diritti Umani, hanno stabilito i giudici dell’IPT, con un programma mai approvato dal parlamento né adeguatamente illustrato dai responsabili. Non è un caso che il governo conservatore avesse intenzione di rendere nulla la validità della Convenzione in UK, con o senza Brexit.
Imbarazzanti e inquietanti le violazioni alla privacy riconosciute dall’IPT, con i database raccolti usati come fossero Facebook per identificare la data di nascita e altri particolari personali di amici e colleghi – e questo nonostante gli avvisi distribuiti dalla stessa GCHQ contro questo genere di pratiche.
Quali gli effetti pratici della nuova sentenza dell’IPT? Sostanzialmente nessuno, lamenta Privacy International , visto che il parlamento britannico ha già legalizzato l’intercettazione di massa imponendo una politica di divulgazione che dovrebbe – molto teoricamente – contrastare gli abusi rivelati dal tribunale. Gli attivisti britannici non si danno in ogni caso per vinti e continuano a definire lo spionaggio di GCHQ come illegale.
Alfonso Maruccia