Nonostante alcune concrete forme di timore succedutesi a livello internazionale sugli effetti del loro utilizzo, le nanoparticelle continuano a rappresentare un terreno caldo per scienziati e ricercatori, che utilizzano la loro duttilità per svariati scopi. Tra le ultime ricerche, suscita molto interesse lo studio intrapreso da un’equipe di ricercatori della Clemson University, che ha ideato un fluido condito di nanocosi utile a riparare in tempi rapidi ossa e tessuti danneggiati.
In particolare, si tratta di un fluido al cui interno vengono inglobate nanoparticelle contenenti tre differenti elementi che incoraggiano la ricrescita dei tessuti. Una volta iniettato all’interno della zona da ripristinare, grazie al calore corporeo, il fluido si fa più denso, fino a diventare un gel compatto: in seguito le nanoparticelle – biodegradabili – rilasciano le sostanze contenute al loro interno favorendo la ricrescita del tessuto danneggiato.
Gli esperimenti sin qui avviati sembrano avere risultati più che soddisfacenti: l’equipe ha testato il nuovo metodo su un ratto affetto da un considerevole trauma cranico, paragonabile a detta del team a quello che è possibile procurarsi in un incidente stradale. Dopo l’iniezione del fluido, il ratto ha mostrato una ripresa nettamente più rapida: in 12 settimane avrebbe riacquistato gran parte delle funzioni motorie e sensoriali, una cosa impensabile per le altre cavie curate con metodi tradizionali.
“Le funzioni controllate dalle regioni danneggiate sarebbero perse in maniera permanente se non ripristinate” spiega Ning Zhang, ricercatore a capo del progetto. “Il nostro obbiettivo – continua – è quello di incoraggiare la rigenerazione neurologica dei tessuti danneggiati”.
Tra gli altri esperimenti fatti con il fluido alle nanoparticelle, Zhang cita anche il ripristino del tessuto osseo di quasi la metà del femore di un coniglio: in questo caso, al posto di sostanze utili alla ricrescita neurologica, nelle nanoparticelle sono stati inclusi alcuni elementi che favoriscono la ricrescita delle strutture calcificate. Il risultato sembra essere più che soddisfacente: secondo il team di studiosi in sole due settimane il tessuto si era riformato in maniera completa.
Restano aperti due problemi: il primo, quello più sentito nel settore, riguarda i possibili effetti collaterali nell’utilizzo delle nanoparticelle che fin qui non è stato possibile chiarire anche in virtù della giovane età di questi studi. Il secondo, di interesse più generale, è relativo ai test sugli animali e sull’uomo: i progetti del team comandato da Zhang proseguono, e in previsione vi sono almeno altri 3 anni di test effettuati su cavie, che potrebbero portare in seguito alla sperimentazione del fluido su soggetti umani.
Vincenzo Gentile