Dublino – Da circa tre mesi vivo in Irlanda, ormai patria del supporto tecnico IT EMEA e di buona parte del software europeo. Quando ho preso la decisione di trasferirmi per lavoro , devo dire che i dubbi erano parecchi. Analizzando la mia situazione finanziaria, avevo notato che il mio stipendio in Italia era vergognosamente basso per le qualifiche richieste nel mio lavoro e il passo di trasferimento lavorativo/ambientale andava preso in serissima considerazione. Ignorando i meccanismi del mercato IT irlandese, mi stavo assumendo un grosso rischio, anche in considerazione del fatto che ho la veneranda età di 35 anni.
Sono partito inizialmente con molte perplessità e soprattutto con quel senso morale di “lack of confidence” (come dicono qua) di come funzionava la struttura di lavoro/assunzione in Irlanda. L’unica cosa di cui ero sicuro è che le più grosse aziende informatiche americane avevano deciso di stabilirsi nella verde nazione di Yeats e Wilde. Ormai gli immigrati italiani fortunatamente hanno cambiato volto e invece che con la notoria valigia di cartone alla Sacco e Vanzetti si presentano in aeroporto con iPod e portatile a tracolla, e io facevo parte di loro. Con una buona esperienza lavorativa alle spalle, ma con la stessa paura dei nostri antenati italiani che si trasferivano in America.
Appena arrivato ho cominciato a cercare lavoro, anche se per la verità senza particolare fretta. Sono stato assunto dopo circa 15 giorni. Molti colleghi e amici hanno trovato lavoro anche in 5 giorni. Le assunzioni sono sia dirette che tramite agenzie, comunque è giusto far notare che qui le agenzie fanno le agenzie, e non esistono società di intermediazione “presso prestigioso cliente”. Qui molte aziende IT fanno pubblicità per gli openday: gli openday sono i giorni in cui le grosse aziende organizzano nei grossi alberghi colloqui dove ognuno porta il proprio curriculum vitae e la propria esperienza, e la possibilità di venire assunti è molto alta. In Italia non ho mai visto una cosa simile, eppure le filiali di queste aziende le abbiamo anche in Italia, come mai? In Irlanda se si invia il curriculum direttamente, invece che per “interposta persona”, viene preso in considerazione, diversamente da quanto ho purtroppo constatato in Italia. Io ho mandato il mio curriculum ad una azienda americana che si trova in East Point Bussiness Park: ho fatto un colloquio molto specialistico, ed è risultato positivo.
Lo stipendio offerto (contratto di tipo indeterminato, qui detto “permanent”) varia dai 40mila ai 50mila euro annui e le tasse sono circa il 20% per circa i primi 32-34mila euro annui e il 42-45% per la restante parte, a seconda del tipo di lavoro. Questo significa che se qui un lavoratore guadagna 45mila euro annui, i primi 32-34mila euro vengono tassati al 20% e il resto dei 45mila euro è tassato al 42-45%. I benefits sono parecchi: molte aziende IT qui offrono la copertura assicurativa/medica e pensionistica (differentemente dall’Italia che è di tipo pubblico) tutto è pagato e coperto dall’azienda. Sono rimasto colpito quando la società in cui sono stato assunto mi ha offerto la quota-employee delle azioni aziendali. In Italia nella mia esperienza non ho mai visto questo tipo di offerta da parte di un’azienda, ed invece la ritengo davvero molto gratificante per il dipendente.
Lo stipendio è alto come lo sono i benefit, ma ovviamente è richiesto un livello di qualità lavorativa e di impegno più alto del nostro livello medio standard nel nostro paese (ovviamente parlo in generale). Tutte le persone sono altamente qualificate e il concetto di nepotismo all’italiana qui è completamente inesistente. Tutte le persone che ricoprono un ruolo, lo ricoprono per i loro meriti.
Da sottolineare che qui i contratti di consulenza partono da 400 euro al giorno per il nostro settore.
Si richiede un eccellente background, ma se conosci l’inglese e sei una persona preparata trovi un eccellente stipendio e un eccellente lavoro, ma devi anche saper lavorare bene, per poterlo mantenere. Qui se non vuoi lavorare ti mandano a casa e basta. Non esistono le lettere di richiamo. La cosa che più mi ha fatto riflettere è che in Irlanda il numero di abitanti si aggira intorno ai 5-6 milioni (pari alla sola popolazione di Roma) eppure questo paese ha un prodotto interno lordo che aumenta ogni anno del 5-6%.
La cosa che davvero non riesco a spiegarmi è il gap tra lo stipendio italiano e il loro. Siamo noi a non avere abbastanza voglia o coraggio di chiedere e di applicare un equo salario. È davvero triste pensare che in un paese come il nostro non siamo capaci di chiedere uno stipendio decente. Ma la colpa è anche la nostra. Dovremmo imporre i nostri diritti e chiedere che un professionista venga pagato da professionista, invece di accontentarci. E perché accontentarsi? Perché un ingegnere informatico o un neolaureato dopo 18 anni di studi si dovrebbe accontentare di 800 euro a progetto? Perché uno specialista con 10 anni di esperienza non dovrebbe pretendere un contratto a tempo indeterminato?
Credo che noi italiani abbiamo tante virtù ma un grosso difetto: non siamo lungimiranti. Prima di partire sentivo colleghi dire: “Sì, hai ragione, sono a progetto, prendo 1.000 euro al mese, ma che ci si può fare?” E io chiedo a tutte queste persone: “Quando a 50 anni sarà difficile trovare un lavoro anche a progetto, perché sarai scavalcato da giovani che la pensano come la pensavi te alla loro età, e non avrai una pensione, che farai?”.
Imporre le cose più “elementari”, come una pensione e uno stipendio, è un diritto di tutti, compresi quelli che ritengono che sia un problema degli altri. Forse davvero è bene che molti tecnici qualificati comincino a farsi i propri conti in tasca e a rispondere alle 800 euro al mese “no mi dispiace ma i professionisti si pagano” oppure prendano il proprio portatile il proprio iPod e facciano come ho fatto io.
Lettera firmata