Stanford (USA) – Non ci sono certezze né è la prima volta che se ne parla, ma gli scienziati dell’ Università di Stanford che ci stanno lavorando sopra sembrano molto ottimisti: si tratta di un nuovo tipo di occhio bionico .
Come definizione potrebbe sembrare riduttiva perché per il momento l’apparato che gestisce il tutto, fin qui testato solo sui topi, è gestito con una molteplicità di dispositivi esterni ed interni.
In particolare, hanno spiegato al New Scientist i ricercatori, gli esperimenti condotti hanno richiesto l’impianto di un chippetto da tre millimetri inserito appena dietro la retina, a diretto contatto con essa.
Il futuro paziente umano, dunque, dovrebbe subire l’impianto, dopodiché adattarsi all’uso di speciali occhiali che dispongono di una microcamera: questa cattura la luce e invia l’immagine catturata ad un computer tascabile affinché questa venga elaborata. Dopodiché il computer trasmette i dati ad un piccolo schermo LED che si trova sugli occhiali, che riflettono una luce infrarossa nell’occhio e nel chip retineo, ottenendo così la stimolazione di fotodiodi sul chip. Questi reagiscono come cellule della retina e traducono la luce in segnali elettrici che poi, sollecitando la retina, possono raggiungere il cervello.
Daniel Palanker (nella foto), docente dell’Università che guida la ricerca, ha comunque voluto gettare acqua sul fuoco spiegando che per il momento si può solo sperare: i risultati ottenuti fin qui provano infatti solo, ma certo non è poco, la correttezza della direzione intrapresa.
Un’accortezza speciale usata dagli studiosi è quella di pensare ad occhiali trasparenti , affinché all’immagine ottenuta con questo singolare equipaggiamento possa associarsi quanto eventualmente visto dall’individuo che lo indossa, ad esempio un ipovedente che non ha perso completamente la possibilità di vedere.
Il recupero della vista con questa soluzione, quando e se diverrà attuabile, non è evidentemente totale né completo ma secondo i ricercatori può riportare molti non vedenti ad acquisire un dieci per cento di capacità visiva che, evidentemente, è determinante sia per chi vede molto poco sia, soprattutto, per chi non vede affatto. Tra le patologie che il nuovo “occhio” potrebbe risolvere ci sono la retinite pigmentosa o le varie forme di degenerazione della vista causate dall’età.
Non solo. Prima che tutto questo possa effettivamente essere sperimentato sugli uomini ci vorranno molte nuove sperimentazione condotte su altri animali di taglia maggiore . Il team di ricerca ha anche sottolineato la necessità di verificarne l’impatto biologico e, quindi, di valutare la sicurezza su un eventuale paziente.