Un protocollo per ammazzare il P2P?

Un protocollo per ammazzare il P2P?

Sostengono di aver trovato la risposta definitiva alla pirateria che ammorba le reti di file sharing. Uno strumento capace di paralizzare i pirati e di far sviluppare un nuovo mercato di contenuti a pagamento
Sostengono di aver trovato la risposta definitiva alla pirateria che ammorba le reti di file sharing. Uno strumento capace di paralizzare i pirati e di far sviluppare un nuovo mercato di contenuti a pagamento

C’è un nuovo sceriffo nella città dello sharing selvaggio. Si chiama Peer Authorization Protocol (PAP), ed è l’ultima di una lunga serie di (sin qui fallimentari) trovate volte a blindare il file sharing, chiudere fuori dalla porta i pirati somministrando loro contenuti “avvelenati” e permettere ai tremebondi provider di contenuti di espandersi come mai è stato possibile sino a ora, giovandosi delle infinite possibilità di business (o presunte tali) aperte grazie a un P2P legale al 100 per 100.

Il nuovo protocollo PAP viene descritto nello studio Proactive Content Poisoning To Prevent Collusive Piracy in P2P File Sharing , pubblicato su IEEE Transactions on Computers e realizzato da due ricercatori dell’ UCLA nell’aprile del 2008. Il sistema, di cui si ha notizia solo ora, prevede in sostanza una forma di identificazione proattiva dei condivisori a sbafo attivi sui network di P2P, definiti nel corso dello studio con appellativi quali “collusi”, “pirati” e altri appellativi decisamente connotati.

Al contrario dei sistemi di p2p poisoning sin qui impiegati (senza successo alcuno) dalla suddetta industria, il protocollo PAP è capace di riconoscere i “pirati” scremandoli dai condivisori legittimi (e paganti) attraverso un meccanismo di reputazione assegnata in automatico ai peer . Chi venisse identificato come pirata si vedrebbe recapitare pacchetti di dati non validi, non riuscendo a lungo andare a completare il download non avendo evidentemente corrisposto il pagamento dovuto per il servizio.

PAP, che secondo gli autori dello studio ha dimostrato di avere una percentuale di successo a dir poco stellare (il 99,9 per cento) per le reti di file sharing che fanno uso dell’ hashing a livello di file (Gnutella, KaZaA, LimeWire e compagnia) e un risultato ben più che decoroso (85-98%) con i network in cui l’hashing viene condotto a livello di parti di file (eMule, Shareaza, Morpheus eccetera), viene descritto come un toccasana per le reti di distribuzione digitale legittime perfettamente integrate all’interno dei più vasti network a scambio indiscriminato.

Per poter funzionare a dovere, però, il sistema necessita di client programmati alla bisogna che integrino tutti i meccanismi di protezione e autenticazione descritti nello studio , una prospettiva alla luce della quale PAP andrebbe più propriamente descritto con un mezzo per realizzare store digitali sfruttando le stesse reti frequentate dai “pirati”, piuttosto che un mezzo per ridurre al lumicino il file sharing tout court . Dai dati forniti dagli autori, inoltre, l’effetto dei pacchetti avvelenati sugli scambi condotti via BitTorrent risulta poco meno che risibile.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
28 lug 2009
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