Una lettera aperta per le foto cifrate

Una lettera aperta per le foto cifrate

150 reporter firmano un appello per chiedere ai produttori di apparecchi di ripresa di dargli una mano a difendersi dai regimi totalitari
150 reporter firmano un appello per chiedere ai produttori di apparecchi di ripresa di dargli una mano a difendersi dai regimi totalitari

Milano – Ci sono Canon, Nikon, Sony, Olympus e Fuji tra i destinatari di una missiva scritta da Freedom of the Press Foundation e già firmata da 150 giornalisti e reporter celebri: un appello per chiedere a chi produce le fotocamere e le videocamere, quelle ogni giorno accompagnano i professionisti su campi di battaglia o in viaggio nei paesi controllati da regimi totalitari, di garantire di default la cifratura del materiale raccolto nella memoria. Una misura indispensabile per assicurare la sicurezza di chi è impegnato a raccontare il presente ai lettori di tutto il mondo .

Internet, il World Wide Web, hanno garantito all’umanità un’informazione in diretta capillare e plurale: letteralmente chiunque oggi può trasformarsi in un testimone oculare avvalendosi dei sempre più onnipresenti smartphone e dei social media che rendono rapidamente virale i contennuti condivisi. Quello che è accaduto nel caso di San Bernardino , tuttavia, dimostra una cosa: la cifratura oggi presente sui telefoni garantisce contro lo sguardo indiscreto di chi vorrebbe controllare il contenuto della memoria del dispositivo . Lo stesso non vale per le fotocamere e le videocamere (una distinzione sempre più sfumata), che invece continuano a conservare il girato e gli scatti in chiaro su Compact Flash e schede SD.

Quello che accade è che quando un giornalista professista, un reporter inviato al fronte o a raccogliere informazioni su una rivoluzione, si ritrova spesso a dover fare i conti con autorità più o meno ben disposte nei suoi confronti. Perquisizioni e sequestro dell’attrezzatura sono all’ordine del giorno: a quel punto basta uno scatto meno che accettabile per il regime, una foto rubata che riprende ciò che un esercito o un dittatore non vogliono che il mondo veda , per far scattare gravi ritorsioni .

Quello che accade, quindi, è che chi sta facendo un lavoro a vantaggio dell’interesse comune si ritrovi esposto e vulnerabile: ci sono situazioni controverse, come un reportage su un ricercato o su un crimine, nelle quali magari la cifratura potrebbe essere messa in discussione. Ma anche in quelle circostanze può essere indispensabile assicurarsi che le proprie fonti e il materiale raccolto restino riservati. Un governo, democratico o non democratico, può decidere di applicare delle pressioni sulla stampa per scoraggiare certo tipo di informazione: con la certezza che il materiale, seppur sequestrato, non possa essere usato contro chi l’ha prodotto, il risultato sarà una stampa più libera e con maggiore coraggio nell’affrontare anche le situazioni più spinose .

È per questo che l’appello sottoscritto da rappresentanti delle principali agenzie di stampa e testate internazionali è particolarmente significativo. Ci sono fatti di cronaca, recentissimi , che dimostrano come in tutto il mondo sia esercitata una costante pressione sui giornalisti per scoraggiarne le prese di posizione più d’avanguardia: permettere alle fotocamere e alle videocamere di cifrare il proprio contenuto, come già è possibile con i personal computer, è una feature che non può più essere assente nei menu di configurazione dei dispositivi .

Al momento mancano risposte particolarmente significative da parte dell’industria, fatta eccezione per Nikon : quest’ultima ha fatto sapere di tenere sempre in debita considerazione il feedback ricevuto dai professionisti, e lo stesso farà in questa occasione. Una risposta forse un po’ tiepida, ma è probabile che tutti vogliano studiare le mosse della concorrenza prima di agire in una direzione o nell’altra . Al momento c’è solo qualche startup che lavora a tecnologie di questo tipo.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
16 dic 2016
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