Washington (USA) – Forse i tempi d’oro delle campagne di fund raising online multimilionarie e selvagge sono finiti. Gli entourage degli addetti ai lavori corrono ai ripari. In un’intervista, un esponente della Federal Election Commission , Bradley Smith, ha annunciato l’entrata in agenda di un profondo riesame del nodo strategico più attuale per la politica USA: la comunicazione elettorale sui media telematici.
In molti, sopratutto tra gli esponenti Repubblicani, temono una “eccessiva regolamentazione della campagna elettorale condotta su Internet”. I Democratici spingono per una maggiore trasparenza e per l’eliminazione di ogni vuoto legislativo: all’origine del contenzioso, sembra esserci il delicatissimo tema della raccolta fondi . Ma c’è di più.
Il senatore repubblicano John McCain, durante la tornata elettorale del 2000, ha raccolto oltre 4 milioni di dollari grazie alle offerte individuali ricevute via web. E molto di più nel 2004 ha fatto il democratico Howard Dean , pur senza riuscire a vincere le primarie del suo partito. Cifre che scottano. Cifre esorbitanti che al tempo stesso patinano d’opaco l’intero processo di finanziamento ai competitori politici: come è possibile monitorare esattamente le modalità e le dinamiche utilizzate dai politici per sfruttare le risorse telematiche?
Nel corso di appena dieci anni , secondo una indagine condotta dal Center For Reponsive Politics , le spese “soft” (ovvero senza limite e destinate, ufficialmente, a coprire costi generici come ad es. semplici adesivi) dei due maggiori partiti americani sono cresciute del 600%: da una stima si deduce che almeno un quinto di questi contributi sia giunto attraverso Internet. Non solo, ma alla base di questo gigantesco innalzamento delle spese prive di tetto massimo potrebbero anche esserci le spese di presenza in Rete.
A partire dal 1996, quando il candidato Bob Dole lanciò la fortunatissima moda dei cosiddetti “siti personali”, Internet è cresciuto fino a diventare il mezzo più utilizzato ed acclamato dai politici di nuova generazione. Un ottimo strumento per rinvigorire la partecipazione politica degli elettori, ma anche una macchina difficilmente controllabile. Anche in Italia qualcosa ha iniziato a muoversi, nonostante la popolazione rimanga in gran parte anestetizzata da una cultura politica troppo legata alla televisione.
Negli USA la situazione è assai diversa. Il web è una arena seguitissima per i dibattiti politici. Ma, fotografando la situazione attuale degli Stati Uniti, emerge che sono proprio i temutissimi blogger , con i loro fedelissimi lettori, a destare maggiore preoccupazione nella classe al potere. Sono proprio i seguitissimi opinion-leader telematici, liberi da controlli istituzionali e spesso considerati “volontari indipendenti”, che potrebbero essere l’arma sui libri paga dei candidati. Magari all’insaputa dei lettori.
Così diventa difficile – addirittura impossibile – determinare se i blog d’opinione politica sono il prodotto di volontari prezzolati o cittadini semplicemente interessati e svincolati da qualsiasi salario. Inoltre, quasi tutta la popolazione americana è dotata di un collegamento alla Rete. Per questo il suo uso nella competizione elettorale si rivela strategico e la posizione dei blogger potrebbe divenire determinante.
Il tutto è condito da uno studio reso pubblico nelle scorse ore dall’autorevole Pew Internet and American Life Project secondo cui il 29 per cento degli americani si è informato sulle elezioni presidenziali nel 2004 utilizzando la rete prima di qualsiasi altro medium. E sono numeri in forte crescita rispetto agli anni precedenti.
Da qui nasce la preoccupazione espressa da Michael Toner (commissario repubblicano per la FEC) sul futuro di questo nebuloso mondo della comunicazione politica online. “Siamo chiamati a decidere su un argomento assolutamente importante, il più importante che la Commissione debba affrontare nel 2005”. Forse è la fine di un’era ma forse tutto rimarrà com’è adesso, visti i costi e le difficoltà tecniche, nonché etiche e sociali, di mettere dei paletti alla libera espressione in rete. Quel che è certo è che la mossa della FEC non giunge inattesa: la democrazia rappresentativa è ormai ufficialmente sotto l’implacabile esame degli utenti della rete.
(Tommaso Lombardi)