Il giudice federale della Virginia ha concesso agli ispettori federali l’accesso agli account Twitter collegati con Wikileaks: il Governo potrà dunque mettere le mani sulle informazioni circa le email e gli indirizzi IP ad essi associati.
Il Dipartimento di Giustizia statunitense aveva fatto richiesta a Twitter a dicembre e il caso era arrivato a gennaio in tribunale. Le stesse policy interne al social network ora lo obbligano a soddisfare le richieste del governo statunitense, dal momento che c’è una specifica ordinanza da parte di un giudice. Tuttavia Twitter stessa, ancor prima di Wikileaks, aveva chiesto al giudice il permesso di non divulgare tali informazioni. Ed è stato sempre il servizio di microblogging a chiedere che la sentenza fosse resa pubblica.
Con una sentenza di 20 pagine il giudice Theresa Buchanan ha respinto le istanze della difesa, avvocati in rappresentanza dei detentori degli account e le organizzazioni per la tutela dei diritti civili online Electronic Frontier Foundation ( EFF ) e American Civil Liberties Union ACLU che avevano fatto appello al Primo e il Quarto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che tutelano il diritto alla privacy.
Tuttavia, secondo il giudice questa argomentazione non può essere invocata in quanto sono stati gli stessi gestori dell’account a rendere pubbliche le comunicazioni cinguettate, mentre “non vi sono interessi di privacy che coprano l’indirizzo IP secondo il Quarto Emendamento”, che è quello che tutela da perquisizioni, arresti e confische irragionevoli.
Prosegue dunque il tentativo delle autorità statunitensi di incriminare i responsabili di Wikileaks, Julian Assange in primis, per violazione dell’ Espionage Act . Ora hanno una nuova risorsa in cui attingere eventuali prove di reato. In particolare le autorità cercano numeri telefonici e informazioni relative a carte di credito, poi indirizzi di posta elettronica, indirizzi IP e ad ogni eventuale trasferimento di file che possa far luce sulla vicenda. L’ordine emesso dal giudice è infatti il 2703(d) ed è quello che, in base a prove “specifiche e chiare”, permette alla polizia di ottenere ampie informazioni collegate ad un account, dal tempo di utilizzo all’indirizzo IP da cui è stato utilizzato, fino alla corrispondenza (come possono essere considerati i messaggi diretti inviati attraverso Twitter).
Il caso ha respiro internazionale: tra gli account oggetto delle indagini quello di un uomo di Seattle, Jacob Appelbaum, dell’hacker olandese Rop Gonggrijp e soprattutto del membro del parlamento islandese Birgitta Jónsdóttir. Interessate della disposizione, inoltre le registrazioni relative ai contatti tra Assange e Bradley Manning , la gola profonda che ha dato via alla divulgazione dei documenti segreti relativi alla guerra in Afghanistan e Iraq.
Sul caso Manning, peraltro, in queste ore il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley ha dato le dimissioni dopo aver riferito che è stato “ridicolo, stupido e controproducente” il trattamento riservato al giovane soldato”.
A favore del parlamentare islandese si è schierata anche l’ Unione Inter-Parlamentare internazionale che ha fatto appello ai diritti di libertà di espressione e di privacy e alla tutele del suo ruolo di rappresentate del popolo islandese.
EFF e le altre organizzazioni hanno già annunciato di voler ricorrere in appello . Aden Fine, avvocato di ACLU, ha detto che “il Governo ha chiesto informazioni circa ogni possibile utilizzo di Twitter del nostro cliente indipendentemente dal fatto se sia o meno legata all’indagine governativa e non crediamo che sia permesso dal Primo Emendamento”. In questo modo, inoltre, sottolinea Cindy Cohn di EFF, si dà al Governo la possibilità di avere segretamente accesso alla vita online dei cittadini indipendentemente dall’accusa mossa e semplicemente facendone richiesta al social network coinvolto.
Claudio Tamburrino