Stampare in proprio un fucile o una pistola necessita ancora di un investimento maggiore rispetto all’acquisto di una tradizionale arma da fuoco, e le forze dell’ordine non sono a conoscenza dell’esistenza di stamperie belliche clandestine, ma la città di Philadelphia ha deciso di muoversi in anticipo: sarà illegale utilizzare una stampante 3D per creare armi o sue componenti, a meno che non si possieda una regolare licenza.
“Abbiamo preso spunto da quella roba che circola su Internet”, ha spiegato colui che si occupa di vergare le proposte di legge per il consigliere comunale Kenyatta Johnson, primo firmatario del testo, e i colleghi di Philadelphia si sono mostrati unanimemente decisi nel soffocare il fenomeno prima che assuma proporzioni incontrollabili. È così che la proposta è stata abbracciata dalle autorità locali: presto potrebbe entrare in vigore il veto di “usare una stampante tridimensionale per creare una qualsiasi arma da fuoco, o una parte che componga, a meno che la persona non possieda una licenza per la manifattura di armi basata sulle leggi federali”. Licenza che, peraltro, è detenuta regolarmente dai primi soggetti che hanno dimostrato l’efficienza della tecnologia in ambito bellico, a partire dalla controversa Defense Distributed .
È proprio la licenza che assegna l’autorizzazione a produrre le armi a vincolare coloro che le producono all’inserimento di parti metalliche che si rendano riconoscibili al metal detector, secondo quanto previsto dallo statunitense Undetectable Firearms Act del 1988: una legge in scadenza, che in molti premono per rinnovare proprio in vista dello sviluppo delle tecnologie di stampa 3D. “Le stampanti 3D sono una tecnologia miracolosa che ha il potenziale di rivoluzionare l’ambito manifatturiero – ha spiegato il senatore Schumer, che sta agendo per il rinnovo – ma abbiamo bisogno di essere sicuri che non vengano usate per costruire armi mortali e capaci di sfuggire ai controlli”.
E così la voce del Palazzo fa eco alle prime indignate reazioni degli operatori di settore, dall’ opposizione di Stratasys rispetto ai progetti di Defense Distributed, alle rimozioni dei progetti bellici da parte della wiki tematica di Makerbot. Del resto, anche le autorità di mezzo mondo, dalla Germania all’ Australia stanno sondando il terreno per valutare i pericoli tesi da una mancata regolamentazione dell’ambito.
ATF Firearms Technology Branch developed a firearm from a 3-D printer with our partners @FBIPressOffice & @TSA pic.twitter.com/jaQuPCo7FA
– ATF HQ (@ATFHQ) 13 Novembre 2013
Anche il Bureau of Alcohol, Tobacco, and Firearms’ (ATF) statunitense ha già proceduto ai test sulle armi prodotte in proprio a mezzo stampante 3D: basandosi sul progetto Liberator di Defense Distributed sono state create due pistole, una in ABS, l’altra in Visijet , altro materiale plastico impiegato nel settore della stampa 3D. Se il modello in ABS ha retto perfettamente alle prove senza mostrare segni di cedimento, il modello in Visijet si è frantumato al primo sparo.
ATF ha dunque sentenziato : le armi prodotte con stampanti 3D possono essere letali, e possono costituire un pericolo anche per chi le impugna. Ma resta sostanzialmente legale, al di fuori di Philadelphia, stampare un’arma per uso personale, anche senza aver ottenuto alcuna licenza.
Gaia Bottà