Come ampiamente previsto dagli esperti di diritto internazionale, il giudice newyorchese Jesse Furman ha respinto le accuse presentate da un gruppo di attivisti locali contro il motore di ricerca cinese Baidu, denunciato – insieme allo stesso governo di Pechino – per aver oscurato numerosi contenuti digitali in evidente violazione del Primo Emendamento nella Costituzione statunitense.
Nella decisione di una corte distrettuale di Manhattan, i sei attivisti residenti non sarebbero riusciti a presentare una documentazione sufficiente per incriminare Baidu e le stesse autorità in terra asiatica. Il governo di Pechino avrebbe invocato i principi sanciti dalla Convenzione de L’Aia in merito al testo di una denuncia presentata a New York contro un’intera nazione estera .
Il giudice Furman ha dunque sottolineato come le pretese degli attivisti residenti nella Grande Mela risultino in violazione degli accordi internazionali, minacciando la sovranità di uno stato estero . Scrittori e video-maker, i sei cittadini newyorchesi avranno un mese di tempo per presentare documenti più convincenti che dimostrino un effettivo coinvolgimento del governo cinese nella censura dei contenuti online su Baidu.
Nelle accuse presentate dai querelanti nel maggio 2011, Baidu avrebbe agito da rinforzo rispetto alle regole di polizia imposte da Pechino e volte all’oscuramento di contenuti attinenti a questioni come i fatti di Piazza Tiananmen del 1989. Il gruppo di attivisti per la democrazia aveva chiesto un risarcimento pari a 16 milioni di dollari dopo i filtri attivati sul popolare motore di ricerca asiatico .
Mauro Vecchio