Vedersi sottrarre alla dogana statunitense computer, telefonini, lettori musicali, videocamere e quant’altro potrebbe non essere più un incubo pendente sulle teste dei viaggiatori . A proporre di tornare a regolamentare gli invasivi controlli doganali è il senatore Russ Feingold , con una proposta di legge che mira a bilanciare le ragioni della lotta al crimine con il diritto alla riservatezza dei cittadini.
I dispositivi di professionisti, turisti e uomini di affari sono ora esposti allo svisceramento doganale: il personale può irrompere nella vita del cittadino sequestrando un computer, può frugare fra documenti di lavoro e prodotti di intrattenimento alla ricerca di file compromettenti, può confiscare e trattenere i dispositivi per tempi indefiniti per tutelare con efficacia la sicurezza nazionale. Le perquisizioni digitali arbitrarie sono state legittimate anche da un pronunciamento della Nona Sezione della Corte Federale di Appello degli Stati Uniti: inutile tentare di dimostrare che in un computer portatile può alloggiare una porzione consistente della propria vita, che il contenuto di un hard disk è un estensione della mente di chi lo possiede e che irrompere in un computer equivale ad estorcere una confessione. Nulla da fare: il tribunale ha stabilito che i computer siano paragonabili ad una valigia, che la vita digitale del proprietario del dispositivo sia paragonabile a appunti e scartoffie disseminati fra gli abiti alloggiati nel bagaglio. Per questo motivo il personale della dogana avrebbe potuto ispezionare il contenuto dei dispositivi di archiviazione anche se non avesse nutrito “un ragionevole sospetto” nei confronti del passeggero .
La decisione del tribunale aveva aizzato i difensori dei diritti del cittadino: avevano espresso di fronte al Senato le proprie rivendicazioni, avevano chiesto tutele per il passeggero che alla frontiera avrebbe potuto perdere laptop e riservatezza in un’approfondita ispezione e in un sequestro completamente arbitrario che si sarebbe potuto protrarre ad libitum.
Una proposta di legge potrebbe rassicurare viaggiatori per diletto e per lavoro: presentato dal senatore Feingold, il Travelers’ Privacy Protection Act mira a scoraggiare le perquisizioni elettroniche indiscriminate . A differenza di quanto avviene ora, non potranno essere basate su motivazioni inconsistenti come l’appartenenza etnica o religiosa, ma dovranno essere supportate dal ” ragionevole sospetto ” che l’individuo stia ordendo trame illecite. Le autorità potranno gettare uno sguardo superficiale al contenuto del dispositivo con discrezione, in un ambiente tranquillo, alla presenza del proprietario e di un superiore.
Gli agenti che presidiano le frontiere potranno salvare documenti a patto che li conservino in archivi sicuri e inaccessibili ai malintenzionati, e dovranno ottenere un mandato per procedere all’analisi. In caso contrario, quanto estratto dal computer del passeggero dovrà essere distrutto nel giro 24 ore. Se invece si ottenesse un mandato e il materiale salvato non costituisse uno spunto per eventuali indagini, dovrebbe essere eliminato nel giro di tre giorni .
“Gli strumenti di perquisizione elettronica rendono questo tipo di ispezioni più invasive di quelle effettuate nelle abitazioni o sugli oggetti fisici – recita il testo della proposta di legge – richiedere ai cittadini e ad altri residenti degli Stati Uniti di sottoporsi all’osservazione del governo e all’analisi di migliaia di pagine delle informazioni più personali senza che sussista alcun sospetto nei suoi confronti è incompatibile con i valori di libertà e le tutele personali su cui sono fondati gli stati Uniti”.
“Il Congresso non può permettere al Department of Homeland Security e al Customs and Border Protection di trasformare le nostre frontiere in aree in cui non agisce la Costituzione” denuncia un rappresentate di ACLU, che si augura che la proposta del senatore Feingold si trasformi in legge: “I cittadini statunitensi hanno il diritto costituzionale alla privacy e questo include le informazioni personali e sensibili che conserviamo su dispositivi elettronici”.
Gaia Bottà