I contenuti nocivi per i minori non possono essere messi sotto chiave, confinati al di là di password e di lucchetti. Il Child Online Protection Act ( COPA ), approvato dal Congresso statunitense nel 1998 e mai applicato, è stato definitivamente affossato: l’oscenità continuerà ad intridere il Web statunitense.
L’intento del legislatore statunitense ai tempi dell’amministrazione Clinton era quello di rimuovere dalla rete ogni minaccia che potesse turbare l’animo sensibile dei netizen più giovani: nel mirino del Congresso non c’erano materiali illegali come le immagini frutto di abusi, ma tutto ciò che la pubblica morale avesse potuto considerare osceno . Il COPA imponeva a tutti gli operatori della rete di inscatolare il “materiale dannoso per i minori” in gabbie protette da autenticazioni a mezzo carte di credito o da sistemi di verifica dell’età . Coloro che non si fossero adeguati, coloro che avessero consapevolmente esposto l’oscenità agli occhi di qualsiasi cittadino della rete sarebbero incappati in sanzioni da 50mila dollari per giorno di violazione e in pene detentive fino a sei mesi di carcere.
Nessun operatore della rete è mai stato punito per aver contravvenuto alla legge: il COPA, pur avendo ricevuto il sigillo del Presidente degli States, non ha mai superato il vaglio di costituzionalità. Da dieci anni la legge si è confrontata con tribunali di ogni grado, le associazioni a tutela dei diritti del cittadino che sfoderavano argomentazioni per dimostrare come la legge ostacolasse la libertà di fruire di contenuti offerti online, le istituzioni che ricorrevano invano ai motori di ricerca, chiamati a collaborare per far emergere il controverso rapporto che si intesse fra i minori e i contenuti osceni .
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ora posto fine all’annoso confronto. L’ ultimo atto del contenzioso risale al giugno 2008: il tribunale di Philadelphia aveva confermato che il COPA non fosse compatibile con il primo emendamento della Costituzione americana, confinando gli adulti in una rete epurata, fatta di soli contenuti adatti a tutti i tipi di pubblico. Impossibile infatti stabilire preventivamente cosa sia “dannoso per i minori”, impossibile scegliere senza fallo quali contenuti isolare dietro ad autenticazioni e verifiche, impossibile assicurare che le misure atte ad inibire l’accesso ai contenuti osceni non venissero erose dall’evolvere delle tecnologie e dalla perizia di adolescenti trasgressivi. Gli esperti consultati per redigere i documenti messi a disposizione dei tribunali hanno stimato che il COPA avrebbe potuto rendere fuori legge 700 milioni di pagine Web . Intimoriti dall’effetto deterrente delle sanzioni, gli attori del Web si sarebbero probabilmente rifugiati nell’autocensura, privando la rete di contenuti che non avrebbero in alcun modo danneggiato un pubblico maturo, privando la rete di contenuti informativi che avrebbero potuto urtare la sensibilità dei soggetti più sensibili. La misura si sarebbe inoltre estesa ai soli operatori statunitensi: a fronte di una rete americana morigerata e castigata, i netizen avrebbero potuto sconfinare all’estero.
Il Dipartimento di Giustizia aveva accolto con dissenso il pronunciamento del giudice di Philadelphia: indispettite, le autorità hanno tentato di trascinare il caso di fronte alla Corte Suprema . Che ha rifiutato di prendere in considerazione la richiesta di valutare la costituzionalità del COPA.
I cittadini della rete approvano : a vigilare sui minori online non dovrebbe essere una legge dello stato, ma genitori armati di pazienza ed eventualmente di tecnologie . Il loro raggio di azione non si limita ai siti statunitensi, né ai divieti calati dall’alto: solo i genitori sanno affiancare i ragazzi e contribuire ad educarli ad un uso consapevole della rete. Fanno eco ai netizen le associazioni che hanno portato avanti la battaglia per sgominare il COPA: “Il governo non ha il compito di stabilire cose le persone possano o non possano vedere su Internet – ha ribadito Chris Hansen, rappresentante di ACLU – sono decisioni personali che dovrebbero essere prese dagli individui e dalle loro famiglie”. Ma le autorità statunitensi, dimostra la crociata condotta contro Usenet dal procuratore Cuomo, non sempre hanno bisogno della legge.
Gaia Bottà