Gli aderenti ad una class action avviata presso la Corte Distrettuale della California accusano Toyota, General Motors e Ford di non aver fornito informazioni sui rischi di sicurezza connessi all’acquisto dei veicoli ad alto contenuto tecnologico, un ambito in cui crescono gli allarmi ma anche le aziende interessate a sfruttare le nuove opportunità del business automobilistico.
Le auto commercializzate dai tre grandi produttori citati includono un gran numero di tecnologie suscettibili al rischio di hacking, sostiene la denuncia, e le aziende sono vieppiù responsabili perché non hanno testato a dovere tali rischi mettendo quindi in pericolo la salute di chi le auto deve poi guidarle. Nella causa collettiva si parla in particolare delle reti CAN (Controller Area Network), apparati implementati sulle automobili hi-tech per controllare i vari sistemi informatici di bordo (infotainment, connettività remota o wireless eccetera) e tutti a rischio di attacco.
Grazie agli apparati CAN insicuri, dicono i promotori della causa, un malintenzionato potrebbe servirsi semplicemente di un laptop per prendere il controllo dei sistemi vitali dell’auto come freni, acceleratore e via elencando. E non si tratta solo di un rischio teorico, come le trasmissioni televisive a tema automobilistico dimostrano.
Dei problemi derivanti dall’uso intensivo di hi-tech nelle auto si è recentemente occupata anche la politica americana, con un rapporto stilato dal senatore Ed Markey che ha evidenziato lo scarso interesse (se non quando la crassa ignoranza) dei produttori automobilistici rispetto alla questione.
Markey ha invocato l’intervento governativo per regolamentare un settore a rischio caos, ma in attesa di nuove proposte di legge l’hi-tech in salsa automotive non fa che proliferare. Mentre si mormora delle ambizioni di Apple, Mercedes-Benz sguinzaglia il modello F 015 Luxury per le strade di San Francisco: volendo, l’auto si guida da sola, ma il pilota è sempre presente.
Alfonso Maruccia