Si torna a parlare di Comcast ma, stavolta, partendo da Jon Hart, un cittadino residente a San Francisco, abbonato al servizio Internet del noto ISP statunitense. Poiché ritiene che l’azienda limita – o impedisce – l’accesso alla rete dei suoi programmi di file sharing, ha presentato circostanziata denuncia , accusando Comcast di adottare politiche ingiuste. Una denuncia che Hart spera di trasformare in una class action , portandosi quindi dietro i molti utenti Comcast che non digeriscono certe discutibili pratiche di filtering .
L’avvocato di Hart ha impostato l’accusa sottolineando che le politiche aziendali di Comcast sul P2P, rese note dalla stampa un mese fa , non sono altro che una conferma di quanto il cliente ha rilevato. La vicenda, però, questa volta sta assumendo connotazioni un tantino più aspre , anche per l’enorme rilievo mediatico che negli USA sta avendo l’intera vicenda.
Si apprendono poi ulteriori dettagli tecnico-commerciali sulla questione proprio dalla denuncia. Il testo della querela, infatti, oltre agli ormai ricorrenti capi d’accusa (promesse di servizi e velocità poi non del tutto mantenute) evidenzia molti altri particolari. Tra questi, il più spinoso è la ragione per cui Hart, lo scorso settembre, ha eseguito un upgrade del suo abbonamento, sottoscrivendo il contratto Performance Plus . Hart lo ha fatto aspettandosi di poter impiegare liberamente le ” blocked applications “, le applicazioni interdette che, come ricordano certamente i lettori di Punto Informatico , Comcast nega di bloccare ma in realtà blocca e di cui assolutamente non vuole che i propri impiegati parlino.
Il contratto di servizio ( qui ), fa notare la citazione, non indica in nessun punto se l’azienda limiti o meno il traffico di una specifica applicazione in qualsivoglia maniera e il farlo rappresenta una discriminazione che viola anche le indicazioni sulla neutralità della rete del garante USA delle TLC.
Tuona il testo dell’azione legale: “Comcast e le sue collegate, intenzionalmente e severamente, impediscono l’uso di determinate applicazioni Internet ai propri clienti, rendendole artificiosamente lente o fermandole del tutto”. La class action dell’intraprendente avvocato tenta, quindi, “di porre fine alla pratica di Comcast e di ottenere il recupero dei canoni corrisposti dai clienti che hanno pagato per un servizio non ricevuto”.
La vicenda, precisa il quotidiano The Anniston Star , è ormai finita anche sul tavolo di alcune associazioni di consumatori e di alcune scuole che, non contente, hanno richiesto alla FCC di ingiungere a Comcast una sospensiva. Due gruppi di associazioni più intraprendenti hanno addirittura chiesto a FCC di multare il provider, con una sanzione amministrativa di 195mila dollari per ogni cliente vittima del disservizio.
A differenza, dunque, delle… puntate precedenti, stavolta la strada da percorrere per il discusso ISP , pur sempre il secondo negli States, sembra tutta in salita.
Marco Valerio Principato