Il Governo degli Stati Uniti ha presentato una bozza di proposta di legge nella quale si prevede il controllo dei profili social network dei richiedenti visto per controllare eventuali legami online con organizzazioni terroristiche.
Si tratta di una misura richiesta da mesi dal Department of Homeland Security sull’onda del sentimento generato dalla strage di San Bernardino e dalla scoperta che la coppia responsabile non nascondesse sui propri profili social simpatie estremiste: tale misura prevederebbe da parte dell’agenzia incaricata dei controlli alle frontiere (la U.S. Customs and Border Protection, parte del Department of Homeland Security , DHS) la possibilità di richiedere, all’interno delle domande per l’ottenimento del permesso di ingresso da parte di cittadini stranieri sul territorio degli Stati Uniti, di indicare – su base volontaria – i social network utilizzati fornendo i relativi username adottati.
D’altra parte i Governi occidentali, da Parigi a Washington, sono convinti che – dato l’utilizzo di tali mezzi da parte dei reclutatori delle reti terroristiche – i rappresentanti dei social debbano in qualche modo collaborare con le autorità per arginare il problema. Una questione però su cui Facebook e compagnia vogliono mantenersi slegati da pericolosi legami che rischiano di minacciare la libertà di espressione in nome della sicurezza.
Nei casi precedenti come in questo, d’altra parte, il dibattito si concentra sull’efficacia di tali eventuali misure di controllo dei social network e sul rischio di sacrificare la libertà di espressione sull’altare della sicurezza percepita.
Secondo i rappresentanti del settore ICT, tra cui Google, Facebook e Twitter, che sono intervenuti sulla questione attraverso l’organizzazione di categoria “Internet Association”, tale misura “potrebbe avere un effetto restrittivo sull’utilizzo dei social network, sulla condivisione online di contenuti e, conseguentemente, sulla libertà di espressione online”: al momento gli utenti condividono online una grande quantità di informazioni personali, che permettono per esempio di delinearne il credo politico o l’orientamento sessuale, e per questo in vista di una condivisione degli stessi – se pur volontaria – con le autorità potrebbero essere portati a mentire sul possesso di un account o piuttosto ad auto-censurarsi.
Il tutto senza alcuna sicurezza in merito all’efficacia della misura: si tratta di una divulgazione volontaria, pertanto appare difficile – come sottolinea per esempio Electronic Frontier Foundation – che un potenziale terrorista possa dare tale informazione di sua spontanea volontà o che non ricorra piuttosto ad un falso profilo per sviare eventualmente i sospetti su di lui.
Infine la misura adottata negli Stati Uniti in via volontaria rappresenterebbe un pericolosissimo precedente: altri paesi potrebbero ricorrervi, costringendo magari anche i cittadini a stelle e strisce a divulgare informazioni sui propri profili social al momento dell’ingresso in un paese più o meno democratico, inclusi quelli in cui non sono previsti gli stessi diritti o le stesse garanzie processuali.
I commenti alla proposta di normativa sono ora al vaglio della U.S. Customs and Border Protection che dovrà dunque esprimersi su di essa e sull’opportunità di una sua approvazione.
Claudio Tamburrino