A sostenerlo è il New York Times e la questione sarebbe semplicemente la punta di un iceberg che attanaglia il paese oggi più colpito di tutti dal Covid-19: paradossalmente proprio gli USA, leader mondiale in quanto a tecnologia, si trovano ad avere nella tecnologia un pericoloso collo di bottiglia per le strategie di contenimento del contagio. Non solo le stonature della politica, non solo le incoerenze strategiche di questo primo semestre di coronavirus: ora a mettersi di mezzo è anche una incredibile disorganizzazione tecnologica che sarebbe deflagrata in tutta la sua gravità proprio a seguito delle pressioni derivanti dal Covid.
Il Covid, i test, i fax
La storia parte proprio da Houston. Se fosse un film, la prima scena sarebbe quella di un ufficio che nella notte, improvvisamente, inizia a riempirsi di fogli di carta e dai rumori sinistri di una stampante che sputa fuori informazioni che si mescolano sul pavimento. Su ogni foglio c’è un nome, c’è un cognome e c’è una sentenza: positivo al test. La stampante non è però una stampante, ma un fax. Esatto, un fax. Anno 2020, Harris County Public Health department. A narrare la vicenda è Umair Shah, executive director del dipartimento nella Contea di Harris (Texas).
Ma la storia è molto più complessa. Nel paese, infatti, le infezioni sono fuori controllo, ma la macchina federale che dovrebbe tentare di porre un argine al problema si trova a dover affrontare disallineamenti tecnologici dovuti a continui tagli al budget ormai vecchi più di un decennio. Non è questione politica, insomma, ma organizzativa: gli USA non hanno fatto abbastanza per integrare i diversi sistemi sanitari e si trovano ora ad avere una difficile condivisione delle informazioni con cui affrontare la pandemia.
I dati sono più lenti della pandemia
Dr Shah
USA, dove il settore privato ha dato vita a quel Framework Apple/Google sul quale il contact tracing viene sviluppato a livello internazionale (Italia compresa, con Immuni), il settore pubblico non sembra invece in grado di esprimere una reazione coordinata data driven e questo perché proprio i dati non sono organizzati in un metodo unico. Laddove i fondi sono mancati, inoltre, lo stesso aggiornamento tecnologico si sarebbe fermato fino a maturare il paradosso del dipartimento che si trova a dover affrontare il Covid-19 a colpi di fax.
Prima della pandemia, circa il 90% dei laboratori inviava i risultati dei test in formato digitale […]. Ma il bisogno di un maggior numero di test ha fatto sì che un maggior numero di attori entrassero nell’arena della sanità pubblica, incluse aziende che normalmente effettuano test per dipendenti e piccole cliniche […]. Questo ha portato alla condivisione di test di laboratorio in altre forme.
La compatibilità tra dati e banche dati è così andata a perdersi in una frammentazione estrema di modi, strumenti, protocolli, canali di comunicazione e formati. Oggi circa l’80% dei test per coronavirus sarebbe privo di informazioni demografiche, ad esempio, il che rallenta pesantemente le ricerche dei singoli pazienti e le indagini a ritroso per la ricostruzione della filiera di contagi ed il relativo trattamento. L’interoperabilità, soprattutto in situazione di stress come quella attuale, è un vantaggio incredibile e tutto ciò non sarebbe possibile senza digitalizzazione. Investire in un servizio sanitario significa anche e soprattutto investimento tecnologico: questo è sempre più chiaro, ma al tempo stesso è lapalissiano il fatto che alle spalle debba esserci una strategia chiara e coerente per far sì che tali investimenti possano trasformarsi in sinergie virtuose per la salute pubblica.
Per gli USA si tratta di una lezione imparata in divenire, ma per tutti è qualcosa di cui far tesoro rapidamente: trasformazione digitale è anche e soprattutto questo. Come in quei film in cui, in piena notte, un fax inizia a stampare improvvisamente dati, che cadono sul pavimento in un contesto spettrale.