Illegali i messaggi provocatori via email, punite le sessioni di chat umilianti, condannabili i messaggini intrisi di crudeltà: gli States, e il Missouri, reduce da un tragico episodio di tecnobullismo che avrebbe condotto una giovane al suicidio , si attrezzano con un quadro legislativo per contenere le provocazioni mediate dalla tecnologia, per tranquillizzare genitori e mettere a tacere i media.
Due le normative sulla rampa di lancio, due le proposte di legge che andranno a definire un quadro legislativo nel quale non sarà necessario inerpicarsi sulle eccezioni per formulare un’accusa: il cyberbullismo sarà un reato a tutti gli effetti nel Missouri e, molto probabilmente, in tutti gli States.
La proposta di legge che sta per essere approvata nel Missouri e quella in fase di approvazione a livello federale scaturiscono dal dibattito che si intesse attorno alla questione delle molestie perpetrate attraverso la rete. Proprio in Missouri, attraverso i profili di MySpace, si è consumata la torbida storia di Megan Maier, tredicenne già turbata da problemi di depressione che nel 2006 sembra essere stata spinta al suicidio dalle trame ordite da una vicina di casa, una quarantenne che si fingeva un coetaneo della ragazzina. Allo scambio di confidenze si sono sostituite le angherie e le umiliazioni: la donna è finita prima in un tribunale locale, dove il procuratore ha ammesso di non avere alcuna base sulla quale formulare le accuse , poi in un tribunale federale, accusata di aver infranto una legge anticracking e antihacking e per aver violato le condizioni di utilizzo di MySpace. Ora rischia 20 anni di carcere.
Le due nuove leggi garantirebbero un appiglio per giudicare coloro che si rendono protagonisti delle molestie , molestie che, recita il testo della proposta federale, “possono provocare danni psicologici, fra cui la depressione” e “in alcuni casi possono indurre a comportamenti estremamente violenti, inclusi l’omicidio e il suicidio”. Rendere il cyberbullismo illegale, dicono i fautori della legge, costituirebbe un deterrente capace di limitare un fenomeno in espansione , un fenomeno nel quale si è imbattuto il 60 per cento dei medici sottoposti ad un’indagine mirata ad indagare i problemi mentali relazionati a Internet.
Sul capo dei cyberbulli, una volta che le leggi verranno approvate, penderanno dunque delle multe e la minaccia del carcere . La normativa federale prevederà fino a due anni di prigione per coloro che “si intratterranno in comunicazioni elettroniche entro e fuori dai confini dello stato con intenti coercitivi o intimidatori o con lo scopo di tormentare o causare disturbi emozionali ad una persona, utilizzando mezzi elettronici per mettere in atto comportamenti indesiderabili, ripetuti e ostili”. Quattro anni di carcere si rischieranno invece nel Missouri per le molestie perpetrate attraverso la tecnologia.
“Il problema del cyberbullismo è che i ragazzi non sono al sicuro nemmeno nelle loro case – ha spiegato Linda Sanchez, autrice della proposta di legge federale – possono essere tormentati attraverso i telefonini o attraverso il computer 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana”. Colmare il vuoto legislativo è il primo passo avanti per combattere un crimine che ancora non è definito come tale, auspica Sanchez: “Questa proposta di legge manda un messaggio chiaro: le azioni commesse online avranno delle conseguenza stringenti offline”.
Ma se a parere della Representative Sanchez questa legge sarà un’efficace ed “equo standard legale”, non tutti i cittadini della rete ritengono che queste e numerose altre proposte di legge volte a contrastare il cyberbullismo si riveleranno eque. Quali sono infatti i parametri per individuare l’intento esplicito di squassare la vita di una persona? Quali i criteri per tracciare il crinale tra una semplice critica e un atto provocatorio? Le due proposte di legge potrebbero attentare al diritto alla libera espressione dei cittadini della rete, avverte qualcuno, potrebbero costituire un appiglio sulla base del quale sostenere dei provvedimenti di natura censoria.
Ma mentre istituzioni e industria si adoperano per offrire ai netizen garanzie contro i tecnomolestatori, la madre della giovane Megan Maier si rivolge a tutti i genitori dei ragazzi che bazzicano in rete e sostiene le ragioni della responsabilizzazione delle famiglie: “Devono comunicare con i ragazzi e capire cosa passa loro per la testa. Devono sapere quali applicazioni usano e devono essere loro, in prima persona, ad andare su quei siti”.
Gaia Bottà